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lunedì 3 novembre 2014

LA TEMPESTA di Kahlil Gibran

LA TEMPESTA di Kahlil Gibran
Parte prima

Yusif el Fakhri aveva trent’anni  quando si ritirò dalla società per andare a vivere in un eremo che si trovava nei pressi della Valle Kedeesha, nel Libano settentrionale. La gente dei villaggi vicini udì svariate storie riguardo a Yusif; alcuni raccontavano che la sua famiglia era nobile e ricca, e che egli amava una donna che l’aveva tradito, e proprio per questo l’aveva indotto a condurre una vita solitaria, mentre altri dicevano che era un poeta e aveva abbandonato la città rumorosa per ritirarsi in quel luogo, dove avrebbe potuto annotare i suoi pensieri e comporre quel che l’ispirazione gli dettava; e molti erano sicuri che fosse un mistico che si beava del mondo spirituale, anche se la maggior parte della gente sosteneva che si trattasse di un pazzo.
Quanto a me, non potevo trarre alcuna conclusione riguardo a quell’uomo, poiché sapevo che doveva esserci un segreto racchiuso in fondo al suo cuore e non mi sembrava il caso di affidarne la rivelazione a delle semplici congetture. Avevo a lungo sperato che mi si presentasse l’opportunità d’incontrare quello starno uomo e mi ero sforzato di conquistarne l’amicizia per vie traverse, poiché volevo studiare la sua visione della realtà e apprendere la sua storia indagando sullo scopo della sua vita, ma i miei sforzi risultarono vani.
Quando l’incontrai per la prima volta, passeggiava per la foresta dei Sacri Cedri del Libano, e io lo salutai scegliendo con somma cura le parole, ma egli rispose al mio saluto con un semplice cenno del capo, per poi allontanarsi a grandi passi.
In un’altra occasione, lo trovai che stava in piedi nel mezzo di una piccola vigna presso un monastero, e ancora una volta l’avvicinai e lo salutai dicendo: “Gli abitanti del villaggio dicono  che questo monastero fu costruito nel quattordicesimo secolo da un gruppo siriaco; tu sai qualcosa della sua storia?”.
Egli mi rispose freddamente: “Non so chi abbia costruito questo monastero, e neppure m’importa saperlo”. Quindi mi voltò le spalle e aggiunse: “Perché non fai questa domanda ai tuoi nonni, che sono più vecchi di me e che ne sanno più di me sulla storia di queste valli?”. Rendendomi conto del mio completo fallimento, me ne andai.
Passarono così due anni, e l’eccentrica vita di questo strano uomo mi rodeva la mente e disturbava i miei sogni.

Seconda Parte
Un giorno d’autunno, mentre vagavo per le colline e i poggi adiacenti l’eremo di Yusif el Fakhri, fui sorpreso da un forte vento e da una pioggia torrenziale, e la tempesta mi scaraventò di qua e di là come una barca dal timone rotto e dagli alberi spezzati da una burrasca nel mare agitato. Con difficoltà, diressi i miei passi verso la dimora di Yusif, dicendo a me stesso: “Questa, finalmente, è l’opportunità che ho cercato per tanto tempo. La tempesta mi offrirà un pretesto per entrare, mentre i miei vestiti bagnati mi daranno un buon motivo per trattenermi”:
Ero in condizioni pietose quando raggiunsi l’eremo e, quando bussai alla porta, venne ad aprirmi l’uomo che avevo tanto desideravo vedere. Teneva in mano un uccello morente, col capo ferito e le ali spezzate. Lo salutai dicendo:
“Ti chiedo perdono per questa mia fastidiosa intrusione, ma la violenta tempesta mi ha sorpreso lontano da casa”: Aggrottò le sopracciglia dicendo:” In questo deserto ci sono molte caverne in cui avresti potuto trovare riparo”.
Tuttavia, non richiuse la porta, e le pulsazioni del mio cuore accelerarono, presentendo l’imminente realizzazione del mio grande desiderio. Cominciò a toccare dolcemente la testolina dell’uccello, con cura e sollecitudine estreme, rivelando al mio animo una qualità importante. Rimasi sospeso per aver riscontrato in quell’uomo due caratteristiche opposte: pietà  e crudeltà al tempo stesso. Ci accorgemmo del silenzio innaturale che regnava tra noi in quel momento. Lui era risentito a causa della mia presenza, io invece desideravo rimanere.
Autoritratto 
Sembrò leggermi nel pensiero, poiché levò lo sguardo e disse: “La tempesta è pura e rifiuta di mangiare carne guasta. Perché cerchi di sfuggirle?”: Con una punta d’umorismo risposi: “Può darsi che la tempesta non desideri cose salate e guaste, ma ha la tendenza a intirizzire e indebolire, e senza dubbio le piacerebbe divorarmi, se mi riprendesse”: Aveva l’espressione severa quando replicò: “Se  ti avesse inghiottito, la tempesta ti avrebbe concesso un grande onore, di cui non sei degno”. Ne convenni: “Sì, signore, sono fuggito alla tempesta perché non mi elargisse un onore che non merito”. Distolse lo sguardo da me nello sforzo di soffocare un sorriso, poi si mosse verso una panca di legno accanto al caminetto e m’invitò a sedermici sopra e ad sciugarmi gli abiti. Riuscivo a stento a controllare la mia euforia.
Lo ringraziai e mi sedetti mentre lui si accomodava di fronte a me, su un sedile scolpito nella pietra. Cominciò a immergere la punta delle dita in una sorta di unguento contenuto in un vaso di terraglia, per spalmarlo delicatamente sul capo e sulle ali dell’uccello. Senza alzare lo sguardo, disse: “I forti venti hanno fatto cadere questo uccello sulle rocce tra la Vita e la Morte”. Restituendo la similitudine, replicai: “E i forti venti mi hanno spinto alla deriva fino alla tua porta, giusto in tempo per evitare di ferirmi alla testa e di spezzarmi le ali”: Mi guardò con serietà e disse: E’ mio desiderio che l’uomo dimostri l’istinto degli uccelli e che la tempesta spezzi le ali della gente, poiché l’uomo è incline alla paura e alla vigliaccheria e, non appena sente il risveglio della tempesta, striscia nelle crepe e nelle caverne della terra e si nasconde”:
Il mio scopo era quello di riuscire a carpirgli la storia dell’esilio che si era autoimposto, perciò lo provocai: “Sì, gli uccelli sono in possesso di un senso dell’onore e di un coraggio che l’uomo non possiede…L’uomo vive all’ombra di leggi e di consuetudini da lui stesso create e foggiate secondo le sue esigenze, mentre gli uccelli vivono secondo quella stessa Legge Eterna di libertà che spinge la Terra a seguire un’ampia orbita intorno al sole”: Gli si illuminarono il volto e gli occhi, come se avesse trovato in me un discepolo in grado di comprenderlo, ed esclamò: “ Ben detto! Se credi nelle tue parole, allora devi abbandonare la civiltà con le sue leggi e le sue tradizioni corrotte e vivere come gli uccelli, in un luogo in cui manca tutto tranne la grandiosa legge del cielo e della terra”:
“Credere è una bella cosa, ma mettere in atto le cose a cui si crede è una prova di forza. Sono molti coloro che parlano come il fragore del mare, ma la loro vita è poco profonda e stagnante come una putrida palude. Sono molti coloro che levano il capo al di sopra delle cime delle montagne, ma il loro spirito rimane addormentato nell’oscurità delle caverne”.
S’alzò tremante dal suo sedile e pose l’uccello su un pezzo di stoffa ripiegato accanto alla finestra.
Mise una fascina di legna secca sul fuoco, dicendo: “Togliti i sandali e riscaldati i piedi, poiché l’umidità è dannosa per la salute umana. Asciugati bene i vestiti e mettiti comodo”:
Il protrarsi dell’ospitalità di Yusif continuava ad alimentare le mie speranze. M’avvicinai al fuoco e, dalla mia veste bagnata, si levò del vapore. Mentre il mio ospite se ne stava sulla soglia a fissare il cielo plumbeo, la mia mente s’affrettava a ricercare uno spiraglio che le permettesse d’infiltrarsi nel suo passato. “ E’ da molto che vivi in questo posto?”, chiesi con aria innocente.
Yusif rispose con calma, senza guardarmi: “Quando arrivai in questo posto, la Terra era informe e vuota; l’oscurità ammantava i fondali e lo Spirito di Dio si portò sulla superficie della acque”:

Quelle parole mi lasciarono sbalordito. Nello sforzo di riprendermi, mi dissi: “Quest’uomo è davvero fantastico! E com’è arduo il sentiero che conduce alla sua visione della realtà! Ma io l’affronterò in modo cauto, con lentezza e pazienza, fino a quando la sua reticenza non si trasformerà in comunicazione e la sua stranezza in comprensione”:

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