benvenuti

Questo blog è di Danila Oppio, colei che l'ha creato, e se ne è sempre presa cura, in qualità di webmaster.

giovedì 30 agosto 2012

PASSATO PRESENTE E FUTURO



Vorrei essere dentro al vento
tra alberi maestosi e colline ondulate
per sentire il fruscìo delle parole tue semplici
dall'aria  rarefatte

Vorrei capire tutta la musica che emani
quando il tuo cuore mi trasporta
come ieri oggi e spero domani
quando io busserò alla tua porta

quella dell'amicizia e dell'amore
che apri come solo tu sai fare
e nell'abbraccio rivedo il mio mare
dove mi inabisso e non c'è rumore

Vorrei essere il tuo gabbiano
vorrei porgerti la mano
vorrei darti tenerezza
vorrei darti sicurezza

ma non conosco la  risposta
e allora mi rifugio in quel vento
che soffia violento sul mio viso
sull'anima mia che non si sposta.

Gavino Puggioni
Amando l'Amore

LE PAROLE NOSTRE



 

Le parole nostre
libere
corrono felici
su prati a noi conosciuti
dove fiori di vita sono nati
cresciuti
colti
ed amati
ma ahimè!
sacrificati nel mare di dolori
tracimati nell'anima nostra
inerme

Si sono incontrate
le nostre parole
espressioni di dialoghi
a volte amorfi
a volte stracolmi
di sentimenti nascosti
dove il gioco non era un gioco
ma riflessione dello spirito
tuo e mio
con l'unico scopo della conoscenza
della nostra essenza
che si presenta pura
severa intrigante e attenta
acché la vita sia più giusta e consona
in questo mondo di stregoni
di maghi e di ciarlatani
che han fatto ricco il loro domani.

A quelli che erano
e ancora sono al desco di San Francesco
han lasciato fame lutti e miseria

Ma questa non è cosa seria!
disse il barbone
scaldato come sempre
dal suo respiro
e dal suo cartone


Gavino Puggioni
Inedita

martedì 28 agosto 2012

E ADESSO?


Capirsi  o non comprendersi
E’ l’umana sorte
Sono parole contorte
Che rompono in mille schegge
Ogni pacato dialogo. E’ legge
Di chi non vuol accettare
L’altrui pensiero e crede
Di essere nel giusto.

Sbagliando, correndo
 faticando, amando
Movimenti dell’esistenza
Con contorno d’altro, o senza
Presenza, assenza, pazienza
Ci si imbosca nel profondo io
E ci si dimentica di Dio

Di te, di me, del creato del reato
Di non ammettere d’aver sbagliato.
Ho sbagliato? Non mi scuso?
Sbaglio di nuovo, tenendo il muso?
Non so che dire, sono delusa
Di me stessa, di quanto è successo
E adesso?

Danila Oppio
Inedita

LA PRIMA STELLA


sono in questo mare
col vento
a ulular onde
di voci lontane
amate

invoco un silenzio
malandrino
che non m'accompagna
è quasi notte
la prima stella

eccola!

sei tu

Gavino Puggioni

Amando l'Amore

  

lunedì 27 agosto 2012

HO CHIESTO AL TEMPO



ho chiesto al tempo
di aiutarmi
in questo incrocio di cieli
dove una nuvola
di me s'è impadronita

e mi sbatte dolcemente
non so dove mi porta
non vedo che luci sopra luci
e qualche filo di ferro vecchio
che cerca di oscurarle

vado come un'onda
ho la testa nei piedi e viceversa
e l'abisso mi gira intorno
tempo dove sei?
prendimi fammi volare
dove aria non esiste
portami ancora più su
verso vette dove l'amore regna
anche se sconosciuto

abbracciami tempo
ho caldo
ho freddo
lasciami pure
in balia di questo infinito
dove il tutto è nulla
dove il nulla è tutto
ed io ci credo

Gavino Puggioni
Inedita

LA NORIA






La sera scendeva
triste e polverosa
       E l'acqua cantava
il verso plebeo
dentro i secchielli
della noria lenta
        Sognava la mula,
la povera vecchia!
A quel ritmo d'ombra
che nell'acqua suona
         La sera scendeva
triste e polverosa.
          Non so che nobile,
divino poeta,
unì alla amarezza
dell'eterna ruota
           la dolce armonia
dell'acqua che sogna,
e bendò i tuoi occhi,
mia povera mula!.....
            Fu certo un nobile
divino poeta,
dal cuore maturo
d'ombra e di scienza

Antonio Machado
da  Soledades e Campos de Castilla
Traduzione di Claudio Rendina
Newton Compton Editori 1971

    
La tarde caia
triste y polvorienta 

El agua cantaba
do copia plebeya
en los cangilones
de la noria lenta

Sonaba la mula
!pobre vieja mula!
al compàs de sombra
que en el agua suena

La tarte caia
triste y polvorienta

Yo no sè que nobile
divino poeta
uniò a la amargura
de la eterna rueda

La dulce armonia
del agua que suena
Vendo y tus ojos
!pobre vieja mula!

Mas sé que fue uno nobile
divino poeta
maduro corazon
y sombra de la ciencia




I RAGAZZI CHE SI AMANO






 I ragazzi che si amano si baciano
In piedi contro le porte della notte
I passanti che passano se li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
E se qualcosa trema nella notte
Non sono loro ma la loro ombra
Per far rabbia ai passanti
Per far rabbia disprezzo invidia riso
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Sono altrove lontano più lontano della notte
Più in alto del giorno
Nella luce accecante del loro primo amore


Jacques Prèvert
da Questo amore


[Les enfants qui s'aiment 

Les enfants qui s'aiment s'embrassent debout
Contre les portes de la nuit
Et les passants qui passent les désignent du doigt
Mais les enfants qui s'aiment
Ne sont là pour personne
Et c'est seulement leur ombre
Qui tremble dans la nuit
Excitant la rage des passants
Leur rage leur mépris leurs rires et leur envie
Les enfants qui s'aiment ne sont là pour personne
Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit
Bien plus haut que le jour
Dans l'éblouissante clarté de leur premier amour.

Ogni traduttore dà la propria versione, distorcendo spesso i versi dell'autore. Osservate le due traduzioni, quella sopra, ripresa dalla versione italiana di Questo amore,quella sotto, è l'esatta traduzione del testo. Ci sono piccole differenze...che però fanno la differenza! Prevert   si è espresso con i versi che trovate qui sotto. Lo studio delle lingue straniere non è importante solo per poter dialogare con persone di altri Paesi, ma soprattutto per apprezzare maggiormente un testo poetico o letterario, leggendolo direttamente in lingua originale

I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell'abbagliante splendore del loro primo amore



domenica 26 agosto 2012

Cavalcata delle Valchirie - Richard Wagner

Paolo Fresu - Mare Nostrum

OGNI CASO


Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.
WISŁAWA SZYMBORSKA

BALLATA DI PENSIERI


Ma cos'è l'estate?

 Domanda banale
nemmeno originale
se la metti a confronto
con altre di questo mondo

Ma quando c'erano
le quattro stagioni
allora sì che potevi fare
mille previsioni

E ora che il meteo-tempo
è cambiato, come tutti noi,
ti ritrovi quasi sempre imbottigliato
e non sai cosa dire, poi

Come rispondere a quella domanda?
È il cielo che parla e che comanda,
a te povero mortale
non dice neppure se è afa o maestrale

Accontentati di ogni evento
anche se soffia quel vento
e il mare si trasforma in burrasca.
Il malumore mettitelo in tasca!

Chiudi gli occhi e aspetta,
l'estate è lunga, non aver fretta
il sole scalderà ancora i tuoi sentimenti
e vedrai,non avrai più turbamenti

Gavino Puggioni
Inedita


In disordine

 Non riposo perché
pensieri e desideri
s'arruffano all'ingresso
della mia mente
che ha paura di
non reggere a quell'impatto.

Io
che credo di essere ordinato
io
che spero di riceverli uno ad uno
nella parete bianca
della memoria
mentre loro si mettono in fila
senza numero progressivo
e si danno spintoni
prima io
no prima c'ero io
e così mi turbano
e mi giro e mi rigiro
e non so cosa fare

Decido
di star dietro a loro
in disordine
e non mi fanno
nemmeno sognare

Gavino Puggioni
Inedita



Mi sono incontrato

Lo so che grammaticalmente
è sbagliato
ma l'ho detto a me stesso
Magritte
leggendo i giornali
e ascoltando la radio
mentre ero solo
ma solo solo
in quella mia solitudine
che mi fa dire
anche tante fesserie

E dopo aggiungo e ripeto
sfidando nessuno
meno male
che mi sono incontrato
e così non sono più solo

Gavino Puggioni
Inedita



sabato 25 agosto 2012

FIGLIE DELLA SOLITUDINE



Da uno squarcio di blu
Tra neri cumuli
Occhieggiano le stelle
D’una costellazione estiva

Paiono lavate
Dal repentino acquazzone
Rotolanti, simili a lacrime
Figlie della solitudine

27 luglio 2012

Oppio Danila
Inedita

Ballata dell'acqua del mare





                                                                                          A Emilio Prados
                                                                            (cacciatore di nubi)


Il mare
sorride lontano.
Denti di schiuma,
labbra di cielo.

-       Che cosa vendi, fosca fanciulla,
con i seni al vento?

-       Vendo, signore, l'acqua
-       dei mari

-       Che cos'hai, giovane negro,
-       mescolato al sangue?

-       Porto, signore,
-       l'acqua dei mari.

-       Queste lagrime salmastre,
-       da dove vengono, madre?

-       Vengono, signore,
-       dall'acqua dei mari

-       Cuore, e questa amarezza
-       profonda, da dove nasce?

-       Dall'amara acqua
-       dei mari.

-       Il mare
-       sorride in lontananza.
-       Denti di spuma,
-       labbra di cielo


Federico Garcìa Lorca
1919


venerdì 24 agosto 2012

ALBA



 Il mio cuore oppresso
sente con l'alba
la pena d'amore
e il sogno della distanza
La luce dell'aurora porta
un vivaio di nostalgie
e la tristezza senza occhi
del midollo dell'anima
La gran tomba della notte
stende il suo nero velo
per nascondere di giorno
l'immensa cima stellata

Che farò in questi campi,
cogliendo nidi e rami,
circondato dall'aurora
e pieno di notte il cuore!
Che farò se i tuoi occhi
sono morti alla luce
e la mia carne non può sentire
il calore dei tuoi sguardi!

Perché ti ho perduta per sempre
in quella chiara sera?
Oggi il mio cuore è arido
come una stella spenta


Federico Garcìa Lorca

Granada, aprile 1919

Fabrizio de Andre - Geordie



Bellissima ballata, quasi medievale, anche un po' celtica!! Da ascoltare

giovedì 23 agosto 2012

Portrait watercolor - Speed painting




Questo modo di dipingere è molto particolare, ed il risultato ottimo! Così possiamo imparare un po' di tecnica ad acquarello!! E' arte anche questa: un ritratto a colori ad acqua,dipinto in pochissimo tempo, che qui ovviamente è velocizzato, ma non poi così tanto come si potrebbe credere....

lunedì 20 agosto 2012

FESTIVAL DELL'ARGENTIERA - SULLA TERRA LEGGERI


V° FESTIVAL ARGENTIERA
dal 25 al 29 luglio 2012



“Passavamo sulla terra leggeri”, il libro pubblicato postumo di Sergio Atzeni, lo scrittore sardo rubato alla vita in quel settembre del 1995, dal mare di Carloforte, ha ispirato l'incipit di riferimento e anche di identità a questo “piccolo” festival letterario di mezza estate, desiderato e voluto da Flavio Soriga e da sua sorella Paola, col titolo “sulla terra leggeri”, in quel borgo minerario che si chiama Argentiera, vicino Sassari.
E cosa esiste di più leggero se non il trascorrere cinque lunghe serate all'insegna della cultura  propositiva, in compagnia di scrittori più o meno noti ma autentici, di giornalisti credibili, di lunga professionalità, con incontri di personaggi anche televisivi, però schietti e veri?
E cosa esiste di più bello e affascinante quando ti accorgi che questo borgo sta rivivendo altra vita, questa, che fa ritornare il sottoscritto agli anni felici della propria infanzia, quando la miniera funzionava e dava lavoro a tanti operai, anche se duro?
Oh! Quell'infanzia trascorsa tra la polvere e le discese ripide, verso le due spiagge, con le scarpe da tennis rotte, o scalzi, ché si faceva prima ad abbracciar le onde ed urlare di felicità.

E il mare? Era lì a pochi passi, che respirava anche lui, tranquillo, quasi civettuolo, in ascolto, con la sua battigia accarezzata da mille onde altalenanti, in quei silenzi che solo l'Argentiera sa donare a chi li sa ascoltare, e non sono pochi, adesso.
E questa leggerezza è stata sempre presente in questa quinta edizione perché Flavio Soriga l'ha resa vivace ed intelligente, con tanta musica, alla sera, e con le parole di tanti protagonisti che, dopo il tramonto, si sono impegnati in confronti ai quali  molti di noi non erano abituati, almeno dal vivo, ad assistervi e a parteciparvi.

Da Olmedo, dagli amori semiseri che si possono costruire d'estate e poi raccontarli anche al bar, in un susseguirsi di voci quasi teatrali eppure divertenti, a quella serata dei Columella Swing presso l'Anfiteatro Comunale di Osilo, dove ancora voci e musica hanno fatto fare un po' di amarcord, per ricordare l' inconfondibile Fred Buscaglione con le sue musiche da locali in ombra, mai al buio, in suggestive emozioni di tempi andati, fino ad arrivare a Sergio Caputo, quello del “Sabato italiano” degli anni ottanta ma che ancora resiste nella mente e nei cuori di tanti di noi, innamorati di quella musica jazz e latino americana, imperdibile e mai dimenticata.
E poi la serata della presentazione di “Sulla terra leggeri”, ai giardini pubblici di Sassari, in una atmosfera davvero brillante dove Flavio e Paola Soriga ci hanno preparato all'ascolto di quelle voci, nuove o meno, che si stanno affacciando nel panorama letterario nazionale, con il critico Piero Dorfles a tenere le redini di una intervista spigliata con domande a sorpresa pur sempre intelligenti e ficcanti, davanti ad un pubblico numeroso e interessato.

E poi...e poi, tutti in piazzetta, all'Argentiera, in quell'angolo di mondo sperduto ed ora ritrovato, grazie alla visione quasi onirica dei fratelli Soriga e di coloro che agli stessi  hanno creduto e sono sicuro che non se ne saranno pentiti.
E in quella piazzetta, gli appassionati della cultura, tanti seduti e altrettanti in piedi, erano in cinquecento, forse mille, non lo so, ma era evidente la passione e l'interesse per quegli incontri informali, pieni di umore buono e sano e di amore, mentre sul piccolo palcoscenico si alternavano tutti quei personaggi che hanno amato e amano l'Argentiera, fra case ancora diroccate e le mille braccia scorticate di quella vecchia miniera che erano e sono lì, quasi a volersi proteggere ed invocare mani umane per una carezza,  per un ricordo indelebile, per quelle vite andate e consumate in uno di quei lavori più ingrati che l'uomo possa sopportare, il minatore.
Dicevo degli appassionati, sì, è vero, anche se di cultura e di lettura di libri, oggi, si parla poco perché sono pochi quelli che l'amano, quelli che leggono, in questo paese dove appaiono mille e una notizia al giorno, vuoi di politica, vuoi di economia, di cronaca nera, di spread, di bond e di default (parole che saranno inserite nel prossimo vocabolario di lingua italiana, se questa avrà la forza di sopravvivere!), ma assai poche di cultura, quella vera, dei bei romanzi scritti con amore e rispetto anche della nostra lingua o di sillogi poetiche, perché no? delle quali la maggior parte degli italiani continua a disinteressarsene, purtroppo!

Vorrei nominare tutti quegli ospiti che hanno calpestato questa mia terra e dire loro grazie per tutto quello che hanno detto e presentato, in quello spazio povero che mai e poi mai si sarebbe sognato di esser calpestato da umani che amano la cultura, la lettura e chi la promuove, nonostante i mezzi a disposizione siano sempre più esigui.

Ed eccoli, allora, a cominciare dalla nostra Geppi Cucciari, madrina del Festival, che interloquisce con Flavio Insinna, raccontando di televisione e di quanto loro stessi non debbano farsi condizionare dal maledetto “share” o dal capo del momento, quello dell'amore,  ma che ora non c'è  più e meno male!

“Il bambino della luna” di Matteo Caccia, che meraviglia! altro che esperimenti d’improvvisazione letteraria, è stata arte e recitazione pura che ha incantato i presenti e li ha estasiati davvero.

E la “Ninna Nanna”, opera inedita di teatro- danza, presentata dalla danzatrice Donatella Martina Cabras, di Cagliari, splendida la sua esecuzione, che ha dato un tocco di eleganza e musicalità alla serata, rivestita dalla solita magia creativa, dello stilista Antonio Marras.

 E dopo, ancora, alcuni giornalisti dalla penna sempre carica e graffiante, da Michele Serra a Luca Soffri, da Luca Telese a Giovanni Maria Bellu, entrambi ex di altri giornali ma sempre pronti a dir la loro su questa Italia agonizzante e perplessa, bella di notte e di giorno, nelle cartoline, ma altrettanto brutta se si va a vederne le “mostruosità” che la condannano a paese poco amato dai suoi stessi abitanti.

Non dimentico Matteo B. Bianchi, animatore e promotore del Festival, fine scrittore di libri attualissimi e di grande respiro, titolare anche lui di un blog letterario molto interessante e vero.
Come non dimentico Marisa Passera, simpaticissima e sempre pronta alle battute, prima di calcio e dopo anche di altro, incontrando Federico Russo e Sebastiano Mauri e i loro primi romanzi.
Devo ricordare, altresì, il professor Manlio Brigaglia, mio concittadino, che ha parlato dell'Argentiera e di alcuni episodi ad essa legati, con una preghiera ai giovani d'oggi che diceva così: “non buttate bottigliette e cartacce in strada e sulle panchine, siate civili, rispettate quello che è anche vostro!” e giù, una marea di applausi, sacrosanti.

Subito dopo è arrivato il turno del sottoscritto, ospite anch’io, grazie a Flavio e a Paola, il quale ha letto due sue poesie dedicate al borgo ed una, in prosa, dove l'Argentiera è stata narrata per quel che era, per quel che avrebbe voluto essere, per quello che spera di diventare se gli uomini la rispetteranno e la faranno rivivere almeno come museo-minerario all'aria aperta e questo lo meriterebbe davvero.

Forse ho dimenticato qualcuno che spero mi perdoni, sono andato un po' a memoria e un po' consultando il programma, sicuro e convinto che questo “piccolo” Festival di mezza estate  possa attecchire in questa terra – borgo, dove poche luci si accendono ma questa lampada “sorigana” alimentiamola e bene, almeno una volta all'anno.

POESIE E PROSA CUI HO DATO LETTURA DURANTE IL FESTIVAL


L'Argentiera, sulla terra leggeri
Sto scrivendo questo pensiero mentre ascolto, in streaming, (si scrive così?), Paolo Fresu durante la prima serata dedicata alla quarta edizione del Festival di Letteratura “Sulla terra leggeri”,
i lu patiu minori (in piazzetta) dell'Argentiera, località ormai a molti nota per la sua selvaggia struggente bellezza, e di terra e di mare.
Quell'anfiteatro, ieri sera, scherzosamente, era un pied a terre, che tradotto in sassarese significa
un piede e il resto del corpo a terra, fisicamente, con tutto il lato bi, perché le sedie non c'erano ,erano assenti, particolare di poco conto, visto anche il gentile invito dell'Assessore alla Cultura del nostro Comune, Dolores Lai,

Nella sua semplicità esecutiva Paolo Fresu non si smentisce, mai. Lo studio, l'esperienza, la complicità emotiva con i presenti, l'abitudine a quello strumento, adesso che ha raggiunto il traguardo dei suoi primi cinquant'anni, non lo distolgono minimamente dalla sua stessa struttura musicale, che può definirsi “orchestra”, in un solo unico strumento a cui lui ha dedicato fiato, anima  e vita:
Ascoltarlo è stato come compiere un viaggio, sì, un viaggio accompagnato dalle melodie, anche intimistiche, della sua tromba che produceva suoni, quei suoni che si dedicano, appunto, all'io intimo, alla stessa poesia che di musica si nutre.

Ma c'era un altro personaggio all'Argentiera, molto importante anche lui, un ragazzo dico io,
il diavolo di Nuraiò, Flavio Soriga, un altro sardo, come me e come quelli che mi leggeranno.
Però, questo ragazzo, come Paolo Fresu, è un grande, è uno che scrive, e come!, è uno scrittore che, giustamente, la ribalta nazionale ed internazionale ci ha “rubato”ed io sono contento per lui.
Flavio Soriga è lì, con noi, con la sua esile presenza che ci riempie di umanità, quasi d'amore.
E' lui che ha voluto questi incontri all'Argentiera, è lui che di questo borgo sta facendo, per ora, una piazzetta culturale, piccola ma grande nei contenuti, in sordina se si pensa al luogo-terra-mare
dove questi incontri avvengono, lontano dai casini della città, dal chiasso, dagli strombazzamenti, incontri vicini al silenzio delle stelle, quel silenzio che ci aiuta a ricostruire e a ritrovare quel senso della vita di cui noi tutti abbiamo ancora, e purtroppo, bisogno.
Flavio Soriga non ha parlato dei suoi libri, e nessuno, nel contesto, li ha pubblicizzati.
Uomo d'altri tempi, si direbbe, lui e il suo alter ego, un tutt'uno riflesso in quel suo racconto del bambino di Uta che voleva crescere, e crescere bene, nonostante l'isolamento e la lontananza da certa incombente civiltà
Il Soriga scrittore, forse, è questo, con le sue storie che parlano di Sardegna, di ragazzi con l'Isola nel cuore, che si trasportano in altre terre per confrontarsi, per sperimentare altri pensieri, altre abitudini che, giocoforza, alla fine, riapproderanno in Sardegna, per ridipingerla, per arricchirla, in senso positivo, di quei valori che sono alla base della conoscenza dei popoli.

Penso sia questa l'intenzione di Flavio Soriga. Parlare di letteratura a tutto tondo, di libri, di storie, di esperienze, anche amare, di musica e di poesia che erano, e mi auguro siano ancora e sempre,
i pilastri, le basi, le vie da seguire, ora che le moderne e mostruose (in) civiltà ci stanno aggredendo, in tutto il corpo, sfiorando l'anima, una volta intoccabile.

Gavino Puggioni
22 luglio 2011 

 Qui sopra, un articolo, scritto da me lo scorso anno,  per il Festival, e di cui ho dato lettura quest'anno.

                                                          -o-o-o-o-o-o-o-o-o-

Nei sentieri dell’infanzia

Camminando in queste radure, una volta selvagge,
mi sembrava di attraversare la parte estrema di un mondo
sconosciuto, oltre il quale viveva il nulla.
Il silenzio, il cielo, il mare che, all’improvviso,
ti abbracciavano, ti costringevano a pensare e a  non pensare,
tanto forte era l’emozione di trovarti lì, da solo,
in cima a quelle colline che sapevano d’altri tempi.
C’era e c’è ancora una chiesetta, arrampicata,
che doveva servire alle preghiere delle mogli,
delle sorelle, delle mamme, tante, di quei minatori,
che entravano in quelle bocche all’alba
e ne uscivano quando il buio era padrone di tutto.
Scendendo per la sua strada, tortuosa e fangosa d’inverno,
impervia e polverosa d’estate, si aveva la sensazione,
comunque, di dover raggiungere un luogo amato da pochi,
ma di un amore viscerale, coinvolgente, forse struggente.
Era, doveva essere un parco romantico, accarezzato o
violentato, ma solo dai venti e dalle piogge.
Semmai, calpestato da amanti, degni di quella natura
rigogliosa e orgogliosa nei suoi splendori.
E dopo, più giù, il mare, due spiagge,
incastonate in questa piccola baia dedicata a San Nicola,
abbracciato a tante insenature, fatte di rocce d'argento
sopra le quali quella stessa natura era ed è abituata ad adagiarsi.
C’era il villaggio che accoglieva quelle poche famiglie
che avevano il coraggio di abitarvi, circondate da rumori
cupi e continui, altalenanti ma che, ormai, facevano parte
della loro vita.
Quel villaggio, umano e di umani, ora non c’è più, è stato cancellato
dai tempi moderni.
Ne sono rimaste le più piccole tracce, per rimandarle,
come si dice, alla  memoria dei posteri.
È rimasta, nonostante tutto, la grande testimonianza della
miniera, ischeletrita, quelle impalcature di legno e ferro,
da dove, prima, si accedeva alle entrature di ciascuna galleria.
Il mare, tranquillo o spumeggiante per il maestrale, era una
presenza quasi rassicurante; si rispecchiava sempre nel solito
quadro, niente lo intimoriva, niente lo sporcava,
se non la ruggine di qualche carrello vecchio e sfasciato.
Lo stesso mare, però, pareva lamentarsi di quello che poteva
dare, e in abbondanza, ma che pochi prendevano. I suoi
frutti erano lì e si beavano nel loro elemento, giocando con
le mareggiate e abbattendosi sui litorali di pietre levigate.
Quei pochi, pochissimi arditi che osavano pescare non
erano nemmeno del posto.
Arrivavano, magari di notte, e, alla luce di qualche lampara,
scagliavano due o tre bombette e il gioco era fatto.
Il pesce, stordito, veniva a galla e si faceva prendere nel
sacco, anzi nei sacchi di juta, docilmente e senza
spargimento di sangue.
Nel villaggio, tuttavia, si viveva di una vita normale, fatta di
sacrifici, di attese, di emozioni e di dolori mai ripagati.
Le giornate erano tutte uguali, compresa la domenica, anche
se questa doveva essere dedicata al riposo o alla preghiera.
Quella grande madre, che era la miniera, rigurgitava
continuamente i suoi tesori che dovevano essere colti e
portati via, in altre terre, in altre regioni.
L’arricchimento era per quella società che gestiva, da
lontano, l’affare; l’impoverimento era per tutti, compresi
quelli che venivano mal pagati per frugare in quelle viscere
profonde e portar via più materiale possibile.
E questo impoverimento riguardava anche il territorio, con
le sue montagne spaccate, scavate, fatte a pezzi, così che
anche l’erba non riuscì mai più a crescervi.
Vi crebbero, invece, le malattie da quelle polveri e chi ne fu
colpito ebbe a pagare fino alla fine dei suoi giorni.

Le spiagge senza sabbia, colme di ciottoli rotolanti, grigi,
bianchi, neri, e striati anche di rosso arrugginito,
erano sempre uno spettacolo da vedere, solitarie o al
massimo con qualche branco di buoi e cavalli che vi
andavano per fare la loro indisturbata passeggiata.
Ti invitavano, quando il mare era una distesa d’acciaio, a
meditare, a proporti in maniera quasi primordiale, allargare
le braccia, respirare a pieni polmoni e spaziare nell’infinito
di quell’orizzonte che credevi di vedere, ma era solo un miraggio.
Anche i gabbiani sapevano di essere soli, tant’è che i loro
giochi, le acrobazie, i loro incroci su quelle acque
sembravano più liberi, ispirati a quello che li circondava,
in una tavolozza di colori, sempre sgargianti ma naturali.
Ora, oggi, adesso, a distanza di tanti lustri, quella terra,
chiamata Argentiera, è un cumulo di quello che è stato e di
quello che vorrebbe essere.
Un gran pasticcio, di cui l'uomo è attore, l’uomo che ha stravolto
ogni cosa, che ha dimenticato il rispetto di quel suolo,
sopraffacendolo di intuizioni orride, cercandovi una
soluzione mai arrivata, continuando a pasticciare ed
offendere quel lembo di ricordi intimi, di uomini e donne
che hanno sofferto e gridato inutilmente nel silenzio.

Ancora e per una volta all’anno, per due lunghi mesi,
è meta di popolazioni incivili, arrivati da altri mondi incivili,
che vogliono incivilizzare quello che loro non appartiene,
tanto, dopo, fanno rientro nelle loro stesse inciviltà.
Quel pezzo di terra continuerà a lamentarsi, anche se
continuerà ad offrirsi con le sue bellezze ormai contaminate,
sporcate e vituperate da tutte quelle imprese di individui
post-moderni, incapaci di sentire, di vedere, incapaci di
amare ciò che la Natura aveva loro regalato.

                                                            -o-o-o-o-o-o-o-o-o-   





  
A L'ARGENTIERA, quel 21 di luglio 2011

 Sembravi un'altra
in quella sera, anch'essa
distesa nel tuo mare,
come i tuoi amici
e i figli dei tuoi figli
venuti da lontano,
assisi a culo a terra, vicini vicini,
ad ascoltar una delle tue voci, Flavio,
una delle tue melodie, Paolo.

Tutt'attorno il tuo silenzio,
gli avanzi della miniera antica,
monumenti industriali,
dentro gli occhi di ognuno di noi,
estasiati e orgogliosi della tua ospitalità.

Voci, parole, racconti,
vita, speranze a venire
in preda alle note di una tromba
romantica ad accarezzar giorni
del tempo andato e perduto.

Letture di attimi
fagocitati tra una bibita e un panino,
letture come fiabe, battiti di un sogno
da portare a casa, incartati,
per custodirli nel cassettino dei ricordi
a futura memoria.

Alla fine, applausi dal cuore,
come cornice preziosa
ad ornare quel dipinto d'autore,
unico



                                                            -o-o-o-o-o-o-o-o-o-

ARGENTIERA



ciottoli roventi
che sanno d'argento
levigati
da maree millenarie
riposano
in quest'area naturale
maltrattata
dagli uomini


                                                            -o-o-o-o-o-o-o-o-o-

SEMPRE LA', A L'ARGENTIERA



sciabordio di ricordi
in questo angolo di mare
dilaniato dal vento
di maestrale

lucignoli di memoria
a cavallo del tempo
qui
poche case
forse cento anime
in balia dell'oblio
sopra sabbia e ciottoli d'argento

una vita
tante vite
il loro romanzo
tante sofferenze
seppure superate con dignità

e gli scheletri della miniera
e le mura scalcinate
e la terra arida
e i silenzi prolungati

a ricordare


GALLERIA FOTOGRAFICA DEGLI OSPITI PRESENTI AL FESTIVAL(non ci sono tutti, tanti erano, ma potrete vederli visitando questo sito: 


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Commiato tra Cucciari ed Insinna
La compagnia Spazio Danza







Flavio Soriga


Prof.Manlio Brigaglia


 


Daria Bignardi e Matteo BBianchi
Marisa Passera
Piero Dorfles, Giovanni Maria Bellu, Fernando Masullo,
Luca Telese
Paola Soriga