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Questo blog è di Danila Oppio, colei che l'ha creato, e se ne è sempre presa cura, in qualità di webmaster.

giovedì 17 luglio 2014

Dal diario del tempo


Ho ricevuto un’altra lettera, era strana,
una di quelle che non ti aspetti
anche se viene dal fronte ormai infuocato
di quell’Amore che sembra assopito.
La busta era chiusa e non era nemmeno bianca
Cercai di aprirla, si attaccava alle dita
che già tremavano perché sapevo
o immaginavo quel che conteneva
Strappai la busta, allargai il foglio, sciupato
forse da lacrime non ancora prosciugate.
Respirai profondo leggendone il contenuto
che diceva:

Sono fermo, immobile, sono seduto su una pietra fatta a pezzi da un cecchino
che dopo è fuggito, là, dietro il nostro fronte che ormai puzza di anime incenerite.
Ed io sono rimasto solo, con questa matita quasi spuntata
e sto cercando di scrivere leggero per consumarla di meno.
Mi hanno attraversato decine di corpi, feriti in tutte le parti,
chi senza gambe, chi senza braccia, chi senza niente in testa,
solo una flebile vista per scappare ancora verso il proprio Infinito, mai incontrato.
Son riuscito a salvare il mio cuore dietro un muro di odio, fatto di cemento,
crollato subito dopo la mia fuga verso un non so dove, in un momento.
Ora sono qui a scriverti questa mia con la quale chiedo aiuto a tutto il Mondo
perché, sì, io mi sono salvato, ma tutt’intorno a me s’è scatenato, lontano,
un cataclisma di uomini scarlatti che si fanno la guerra
con pugnali, con lance acuminate e luccicanti
e a me sembra davvero che siano diventati tutti matti.

A fatica mi metto in piedi, sono ancora solo e una nuvola mi si avvicina.
M’appare scura e m’allunga una sua mano dalla quale fa grondare
tanta di quell’acqua piovana da ripulire tutto, anche il pastrano
che mi riparava dal freddo intenso di questa mattina.
Uno spicchio di sole, ma è già mezzogiorno, m’accarezza il corpo,
privato da ogni sentimento che provo a ricostruire, ma non ci riesco
ed ho paura di non fare in tempo a finire questa missiva
che può viaggiare solo con la luce, al buio no, ché spiriti maligni
se la porterebbero via ed io non posso nemmeno protestare.
Sono sempre in aride pianure di quell’Indifferenza
che uccide e umilia ogni presenza umana.
Ah! ci fosse vicino il mare a cui affidare la solita bottiglia
con dentro questo messaggio!
Invece no, niente di tutto quello che vorrei che fosse,
avvinghiato al  Nulla, sopra questa altura
dove ammiro l’Universo che mi circonda, anch’esso solo,
pieno di menzogne, di utopie vecchie e nuove,
tramandate di vita in vita, senza speranza alcuna
di raggiungere attimi di pace, non dico di allegria,
sopra e sotto questa terra sempre scossa dall’infelicità degli uomini,
alla ricerca della loro essenza ormai chiusa in casseforti
di cui si son perse anche le chiavi.
Mi è rimasto un po’ di coraggio in mezzo a tutta questa confusione.
Non ricordo e non ho la data, l’ora e il giorno che mi sta tenendo compagnia,
ma sono sveglio e l’azzurro del cielo mi ricopre della sua coltre che mi da
caldo e freddo, in questa solitudine, dipende dal mio pensiero.
“Surge et ambula” odo strana e lontana questa voce che non è la tua
E’ quella del Signore che diceva al suo Lazzaro di continuare
a calpestare terra e fango, anche nel dolore, senza memoria,
come in un salmo dedicato all’eterna gloria.

Mi sono distratto, ma ero incantato da quel silenzio che parlava a voce alta
tra raffiche di vento abbracciate ai miei pensieri  di anima vagante
che scrive niente al mondo che non sente la sua presenza
ormai diventata trasparenza.
Da questo letargo di parole vuote vorrei fuggire
per dirti che quello che ho scritto fa parte del mio passato,
vissuto come ho potuto, sempre innamorato della vita
e di quel tanto o di quel poco che essa mi ha donato.

Come vedi e siccome m’illudo di essere un poeta,
finisco e cado spesso in qualche rima, trascinata, forse,
da una poesia superata dalle manie  culturali,
nella quale tuttavia io ancora credo e spero di non abbandonare mai.
Sai, adesso sono pure un po’ stanco, ho anche freddo
e brividi di nostalgia, voglio ritornare quanto prima alla terra mia
dove la Verità, quella degli uomini, delle donne e dei bambini
è stata cancellata dalla violenza, dalla finta opulenza,
consumata ora come usanza di vivere una vita troppo in fretta.

Anche la mia matita si è consumata ora e non so se ne sia contenta.
Ma faccio in tempo a dirti, a dire a voi che godete, che urlate e fate baldoria
Abbiate quella forza, quel coraggio di stare un po’ da soli,
privi di fronzoli inutili e dell’effimero presente.
Meglio nudi con la propria pelle sana
che vestiti di abiti maleodoranti, magari costruiti da innocenti mani.

Gavino Puggioni
Da Nelle Falesie dell'anima
Questa poesia è già stata pubblicata con il titolo Un''altra lettera
Segnalato al Concorso Nazionale LA VITA IN PROSA 2° Edizione, organizzato da Dedalus di Ivano Mugnaini 

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