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venerdì 2 novembre 2012

JOICE LUSSU A 100 ANNI DALLA NASCITA


Joyce Lussu tra storia e futuro, di Antonietta Langiu
Un incontro particolarissimo e unico, che ha cambiato e accresciuto il senso del mio cammino e reso più significativa la vita, è stato quello con Joyce Lussu. Credo sia stato così per molti, legati ancora da un filo rosso che non si scioglie, ma che diventa più ampio, coinvolgendo sempre più persone e giovani soprattutto; i giovani che lei amava, ricambiata, e che andava a trovare in tutte le scuole d’Italia, fin quasi alla fine dei suoi giorni. Si discuteva di storia, di poesia, di cultura, di guerra e di pace, di povertà e sopravvivenza, di progettualità sociale e di utopia. Ho ricordato i suoi cento anni l’otto maggio a Firenze, la sua città natale che l’aveva vista fuggitiva a soli dodici anni, con la famiglia, per le minacce e le brutalità fasciste. Assieme all’Assessore per le Pari Opportunità e all’Associazione Culturale dei Sardi in Toscana abbiamo cercato di ripercorrere il cammino straordinario di una delle più importanti protagoniste del Novecento. Altri incontri si sono svolti e si svolgeranno in tutta Italia, soprattutto in Sardegna e nelle Marche, i due luoghi particolarmente cari a Joyce. Abbiamo cercato in molti, come moltissimi erano i suoi amici, di tenere vivo il suo straordinario messaggio, ripercorrendo idealmente il cammino di questa donna, perché non andasse disperso il suo patrimonio di idee e di insegnamenti. Al suo personaggio, tuttavia, è stato negato il meritato risalto, così come è accaduto al marito Emilio Lussu: un grande combattente nella prima guerra mondiale, un antifascista rivoluzionario, uno dei padri della nostra Costituzione, troppo spesso rimosso e dimenticato dalle istituzioni. E Joyce? Vittima anche lei di un “vuoto di memoria” che l’ha cancellata dai libri di storia e di letteratura. Eppure è stata una scrittrice moderna e straordinaria, una storica consapevole della parzialità della storia e della sua ferocia; ambientalista, partigiana di Giustizia e Libertà con medaglia d’argento al valor militare, femminista , politica coerente e perciò inquieta, ma sempre dalla parte dei deboli, delle donne, dei popoli e dei paesi sfruttati e impoveriti, che lei amava e frequentava. Infine poeta sensibilissima a cui ha unito un’intensa attività di traduzione dei poeti del terzo mondo, considerati da Joyce “Moltiplicatori di progresso”. Sempre attenta alla storia di tutti, perché… “ogni uomo è un fine in se stesso; possiede un valore intrinseco sul quale nessuna ragione, nessun interesse superiore può imporsi”; questo in sintesi il valore che attribuiva ad ogni uomo e questa la sua visione del mondo, visione molto diversa da quella della nostra attuale società in cui è cresciuta la diseguaglianza sociale in un liberismo sfrenato che ha portato ad una crisi del modello di sviluppo, non solo in Italia, ma nel mondo intero, e ne stiamo vedendo le tragiche conseguenze. Ciò che Joyce proponeva era un modello sociale alternativo a quello imperante, un sistema etico-politico capace di costruire un mondo che pone al centro l’essere umano e il suo diritto primario alla vita e alla libertà. Il patrimonio politico, storico e letterario di Joyce, della donna che ha attraversato e vissuto pienamente le vicende del ventesimo secolo, con il coraggio e la coerenza di chi crede in ideali irrinunciabili, non può essere disperso; né si può dimenticare chi ha dato una grande lezione di umanesimo integrale, in qualsiasi condizioni di vita si trovasse. Colpisce in modo particolare la sua preveggenza, la sua capacità di essere sempre al passo con i tempi, l’attualità del suo pensiero legato a molti dei temi in discussione nel mondo: l’affermazione dei valori democratici per una società più giusta; la guerra e la pace, la politica e la morale; il problema dell’acqua; i beni primari e lo sviluppo eco-compatibile; la questione femminile.  E alla questione femminile Joyce rivolge la sua particolare attenzione. “Le donne sono costruttrici di futuro”, diceva, per la loro sapienza pratica e intellettuale, per la loro tensione verso l’avvenire e il futuro, tensione indispensabile alla salvezza della specie umana. L’emancipazione della donna per Joyce deve essere intesa non come semplice parità tra i due sessi, ma come realizzazione di una società che consenta alla donna di esprimere pienamente se stessa, la propria dignità e libertà di essere umano. La sua battaglia femminista sarà una continua lotta per l’affermazione dei diritti di tutte le donne; femminismo che nella teoria e nella pratica le ha consentito di proiettare il ruolo femminile nella sfera del sociale e del pubblico, a partire dal sé donna. “La mia permanente tendenza a non farmi escludere, perché donna, da nessuna attività o conseguimento possibile agli uomini, non era affatto un’aspirazione a mascolinizzarmi... Un essere umano completo, ha detto qualcuno, è un uomo e una donna che si intendono fino in fondo… ” (“Padre, padrone, padreterno”). In un articolo di “Noi donne” del 26 marzo 1950 “La Resistenza continua” denuncia l’arretramento delle conquiste delle donne rispetto alla Resistenza dove era progredita autonomamente e non per merito delle forze politiche che non avevano capito “la carica eversiva della partecipazione femminile…” (op. cit.)
Uno studio particolare Joyce lo ha condotto sull’universo femminile sardo e sulla loro specificità, quando nel settembre del ’44 è arrivata per la prima volta in Sardegna, con Emilio e il piccolo Giuannicu, collegando le rivendicazioni femminili e le azioni politiche al problema dell’Autonomia della Sardegna e della lotta per la Rinascita, dando vita all’Unione donne Sarde. Si interesserà ancora di donne dopo il ’76, quando ritorna a vivere nelle Marche degli avi; si impegna nella valorizzazione e nella scoperta dell’altra storia, quella delle masse popolari, della grande cultura matriarcale. Fa un’appassionata difesa del significato positivo dei termini strega, maga, sibilla per ritrovare l’immagine originaria di una donna saggia e sapiente, custode di una conoscenza da non tenere segreta, ma da tramandare a fin di bene; essa è il simbolo di una società non gerarchizzata, ma fondata su principi comunitari. La Sibilla è la Memoria di una società senza guerra e senza servi dominati dal terrore; in essa si concentra la forza delle donne, che paragona ad un fiume carsico che scorre in “…linea ondulata” (“La Sibilla”), in armonia con la natura. Pensiero oggi attualissimo (vedi Vandana Shiva) e in perfetta armonia con i movimenti eco-femministi che nel mondo si battono contro le monoculture dei territori e della mente, la distruzione dei processi vitali delle piante deprivate della capacità di riprodurre semi, contro la possibilità di brevettizzare e privatizzare le sorgenti e ogni forma vivente.
Che dire ancora di Joyce?
L’abbiamo amata in molti, non si poteva non farlo, l’abbiamo stimata e ammirata, molte volte contestata per le prese di posizione imperiose e scomode talvolta; per l’urgenza con cui ci poneva e affrontava i problemi; per i dibattiti infiniti e gli scontri che servivano a chiarire i suoi e i nostri problemi, ma non abbiamo mai smesso di pensare al privilegio di averla conosciuta e frequentata. Il suo impegno per un mondo migliore rimarrà tra gli insegnamenti più forti e incisivi; le sue idee e la sua energia comunicativa continueranno a circolare tra quanti l’hanno incontrata, letta e amata. Saranno loro a tramandarne la memoria, perché “Il ricordo arricchisce la capacità di vivere… La morte è come un’assenza, una distanza, un viaggio. Se non si ritorna di persona, si mandano i propri pensieri” (“Lettere fermane”).
E a proposito di pensieri, quelli che lei ci ha lasciato, o anche il suo testamento spirituale, sono tutti nell’ultima sua poesia: UTOPIA.
Diceva Joyce che ogni sua poesia era una lettera indirizzata a qualcuno, Utopia è indirizzata a tutti.
“L’utopia non è un’illusione/ un sogno/   una fantasia/   lanciata nell’impossibile./ L’utopia è un progetto/ l’invenzione di un possibile/ all’interno di una realtà quotidiana/ non ancora realizzata/ ma che forse si realizzerà”…



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