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mercoledì 28 marzo 2012

QUELLI DEL PONTE


di Gavino Puggioni.
Cariddi aveva appena smesso di rigurgitare un mare di acque, dove migliaia di pesci cercavano di salvare la propria pelle dalla violenza del suo respiro, anche se rischiavano, comunque e sempre, di andare a finire fra le numerose zampe tentacolari di Scilla, in apparenza mite. Questa, seppure mostro marino, credeva, perché si ricordava, di essere una bellissima fanciulla, innamorata di Glauco e delle sue gesta. A quest’ultimo, però,  aveva pensato Circe, la maga, che gliel’aveva tolto per sempre trasformandola, appunto, in un mostro dalle sei teste e dodici zampe.
Un giorno di fine estate Scilla invitò Cariddi nella sua enorme spelonca e lo pregò vivamente
di non agitarsi, di respirare normalmente in modo che in quel frangente di tempo le altre creature marine e i tanti naviganti si potessero riposare dalle fatiche che quel pezzo di mare procurava loro.
Cariddi promise di starsene buono e di ascoltare la sua dirimpettaia, tra curiosità e diffidenza
-         Allora, dimmi Scilla, cosa ti sta pesando sul tuo corpo, fino a chiedermi di modificare le mie abitudini che sono assai naturali? Pensa che ho avvertito anche mio zio Eolo perché si astenga dall’aiutarmi, con le sue raffiche assordanti e trascinanti! -
-         Cariddi mio – sospirò Scilla – non so come incominciare a dir la verità, poiché questo fatto
-         di cui ti voglio parlare è motivo vecchio, molto vecchio, che risale agli anni ’50-’60 del secolo appena passato e, forse tu, nei tuoi giochi vorticosi e violenti, non ne hai mai avuto sentore. -
-         Caspita! Non lo so proprio, ma perché è una cosa grave? -
-         Grave? Gravissima é! Pensa tu, da quanti anni ci conosciamo e andiamo d’accordo? -
-         Un’eternità! Cara mia e non ho voglia nemmeno di ricordare, visto che tutto quello che ho combinato é andato a finire negli abissi del silenzio e dell’oblio! Dimmi, allora, cosa ti tormenta e , se posso, ti aiuto! -
-         Scilla era titubante, paurosa come quella fanciulla, ma aveva nella mente lo scenario, lo sapeva ormai a memoria, ne era terrorizzata anche se non lo dava a vedere.
-         Si fece coraggio, rilassandosi con l’intero corpo sinuoso e, fissando il suo amico, disse con voce quasi afona:
-         Sopra di noi costruiranno un ponte! -
-         Un ponte? E cosa è un ponte? -
-         Cariddi, ricordati che siamo nel  ventunesimo secolo  e che noi, ormai da centinaia di anni, apparteniamo alla nazione italica la quale ci ha reso  anche famosi, mentre adesso ci vogliono distruggere! -
-         Distruggere? E come faranno? Di certo non mi prendono, perchè io posso sprofondare come e quando voglio, anche in mari diversi da questo. Tu dovrai stare più attenta, ma puoi sempre inabissarti e trasferirti dove sono più ospitali! -
-         Eh! ti sembra facile! Quel ponte di cemento, ferro e acciaio che ci caleranno sopra, non ci permetterà di sopravvivere. La gente, tutti i popoli che ci conoscono, si dimenticherà di noi che diventeremo un sito, un puntino nello stivale dove butteranno milioni di metri cubi di mondezza, di ossido di carbonio, sì da non farci più respirare! E’ una disfatta naturale, l’ennesima degli uomini così detti civili. -
-         Ma cosa credono di fare con questo ponte? E quanto costerà? -
-         Credono, illudendosi, di creare un’altra meraviglia del mondo, secondo me inutile e dannosa agli stessi umani, senza considerare il cambiamento morfologico di questa terra!
-         Che disastro!. -
-         Ma come fai tu a dire queste cose? – sospirò leggero Cariddi.
-         Sappi Cariddi che, a parte le braccia, io ho tanti occhi e posso veder lontano come pochi altri! -
-         E cosa vedi allora?
-         Vedo che l’Italia ha questa mala voglia di cambiarsi fisicamente, come se non le piacesse più l’abito che madre-natura le ha confezionato, col passare dei millenni.
-         Se per questo, in tutto lo stivale, compresa la mia isola, di scempi ne hanno fatto sempre, a cominciare dal Nord, dove i ricchi hanno avvelenato e inquinato quella terra avita e prosperosa, mentre il Sud è stato infangato di ogni obbrobrietà umana, salvando e meno male il mare che ancora resiste! -
-         E’ proprio come dici tu ed io mi sto scervellando per trovare uno o centomila motivi validi
-         per non fare costruire quel ponte, che avrà un nome altisonante e pomposo, che getterà oblio su di noi e la nostra lunghissima storia. Sono disperata!
Dopo un attimo di pausa, comprensibile, Cariddi rispose:
-         Sai cosa possiamo tentare di fare? -
-         Dimmi, dimmi, che idea ti è venuta? -
-         Perchè non lo diciamo a Polifemo che chiami in adunata tutti i suoi ciclopi?
-         Per fare che cosa? Amico mio! -
-         Soltanto loro, con la forza e la brutalità che hanno, possono impedire quella costruzione! -
-         E come faranno?
-         In maniera molto naturale, come tante altre disgrazie della natura, volute e create dall’uomo, poco rispettoso anche di sé stesso. Di giorno gli operai, gli architetti e gli ingegneri lavoreranno. Di notte, e la notte è lunga, arriveranno migliaia di ciclopi che sfasceranno con il loro passaggio tutto quanto è stato costruito e così tutte le notti, fino alla fine di quel diabolico disegno. I ciclopi non li prenderanno mai e non sapranno da dove vengono e dove andranno, mai!. -
-         In quel momento l’Etna e lo Stromboli si lasciarono scappare un lungo cupo brontolio.
-         Scilla e Cariddi si abbracciarono in segno di intesa e il sipario s’abbassò lentamente e dolcemente.
-         Si udirono fragorosi applausi e il silenzio tornò a regnare.
Titolo originale autorale: Quelli del ponte (Favola tragi-comica dei giorni nostri)
QUESTO RACCONTO E' STATO PUBBLICATO SU ROSEBUD, giornalismo online con il titolo:

Il ponte di Messina? Meglio camminare sulle acque come…. Joan Lui. Unu contu


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