benvenuti

Questo blog è di Danila Oppio, colei che l'ha creato, e se ne è sempre presa cura, in qualità di webmaster.

martedì 20 marzo 2012

SOTTO LA PIOGGIA



Erano le sette di un mattino di ottobre. Luigi e Caterina si alzarono e
spalancarono le finestre. Loro malgrado, stava piovendo.
- Oh ! Adesso devo andare solo ! -
- No! aspetta. Mi metto il cappuccio e vengo. Aspetta Luigi! -
- Resta, ti bagnerai e prenderai un malanno. Vado da solo, col calesse,
torno subito. -
Luigi e Caterina erano sposati da appena un anno e andavano piu
che d’accordo.
Fuori, intanto, pioveva, ma di una pioggia diversa.
Era fitta e silenziosa. Guardandola, senza sentirne il contatto,
sembrava un immenso soffione o qualcosa di simile alla sabbia del
Sahara, quando é sollevata dal vento imperioso.
Caterina sorrise quando Luigi disse che non l’avrebbe portata.
Quest’ultimo chiamò Bepi, il servo pastore, e gli ordinò di approntare
il calesse, con la cappotta impermeabile.
Quel giorno, 28 di sabato, Luigi andava a riscuotere lo stipendio
della moglie, insegnante nelle scuole elementari di quel paesino di
montagna.
Bepi era di fronte alla porta, col calesse pronto.
- Ciao, Caterina ! -
- Buon viaggio, tesoro ! -
Le ruote si mossero un po' pesantemente nel fango, poi presero a
girare regolarmente.
Luigi era solo. Doveva percorrere più di dieci chilometri, fra cespugli,
sassi, aspri passaggi, in mezzo a grossi secolari alberi. Non
aveva paura della stanchezza, era abituato a farlo spesso quel cammino.
Perciò accese una sigaretta e si poggio sul duro sedile.
- TRRRRR !! - e il cavallo aumentò il suo trottare, ritmico e costante.
Adesso attraversava un tratto di strada pericoloso.
Poiché la pioggia non aveva accennato a diminuire, i sentieri si
erano fatti fangosi, anzi non si lasciavano nemmeno vedere; un lungo
strato di acqua li ricopriva, da farli parere uno stagno.
Luigi non si accorse di quel che aveva davanti, nemmeno quando
Muritu si impennò leggermente, drizzando le orecchie; e visto che il
padrone non gli aveva fatto alcun segno, continuò.
Non fece quattro passi, che le gambe equine sprofondarono fino
ai ginocchi, le ruote del calesse quasi non si vedevano.
Luigi ebbe un sussulto. Aggrottò le sopracciglia nerissime e prese,
tiranti, le redini della povera bestia.
Questa si fermò e, con mossa sensibile, fece l’atto di voltarsi, quasi
a dire: - Perché non stai attento a dove mi fai passare? -
In quell’istante la pioggia andava diminuendo.
Muritu cercava, con sforzi estremi, di portarsi fuori da quella mota.
Di tanto in tanto sbuffava e dalle froge scivolavano fitti canaloni
di vapore. Luigi cominciò a preoccuparsi. Guardò l’orologio. Erano
le dieci passate. L’ufficio avrebbe chiuso a mezzogiorno. Parve, d’un
tratto, disperarsi e si sarebbe davvero impaurito se non avesse visto
quell’animale cimentarsi in un nuovo e più potente sforzo. Le ruote
si mossero, Muritu alzò e portò avanti le gambe e già il livello fangoso
era diminuito. Il suo corpo era bagnato e sudato ed emanava calore.
- Su, su, bello ! Su ! un altro sforzo ancora e saremo liberi. - Quasi
avesse sentito quelle parole di incoraggiamento, il cavallo allungò
il collo e, con un ultimo consistente strappo, portò il calesse fuori da
quella melma.
- Bravo ! - esclamò Luigi e gli dette una manata sul groppone.
Ripresero la strada. La pioggia cadeva con la veemenza di prima.
Bisognava affrettare il passo, altrimenti avrebbe dovuto sostare per il
pasto in paese, mentre, invece, l’attendeva a casa la sua cara moglie.
Luigi imboccò una lunga scorciatoia, tortuosa, a volte così angusta
che, a stento, Muritu riusciva a trascinarsi dietro il calesse.
Ai lati vi erano fitti cespugli, piante sempreverdi, fichi selvatici.
Di tanto in tanto si sentiva il mormorio dei ruscelli vicini, sotto lo
scrosciare della pioggia. Se si alzava lo sguardo, si poteva vedere in
un leggero declivio roccioso, un insieme di piccole cascate torrentizie,
che con il loro rumore, fragoroso al principio e fine quando
l’acque precipitavano nel vuoto, davano un certo qual senso di mistero
a quelle vallate.
La pioggia era di nuovo diminuita, tanto che Luigi abbassò la
cappotta.
Questi, spronando il cavallo, si guardava attorno e col pensiero
andava lontano; annusava, pareva godere di quel refrigerio.
Era come preso da un profumo seducente, di quello di cui sua
moglie amava accarezzare il corpo, nei giorni di festa.
Ma non poté continuare a divagarsi, perché un altro acquazzone
si abbatté sulla cappotta del calesse tempestivamente tirata su.
Adesso Luigi stava per giungere in un sottobosco. Non appena
entrò sotto il suo tetto arboreo, guardò l’orologio. Mancavano soltanto
quindici minuti a mezzogiorno.
- Oh ! - si diceva - Caterina pranzerà sola! Mi dispiace ! -
Il paese era vicino, si vedeva già da quell’altura. I comignoli delle
case, come in pieno inverno, fumigavano di un fumo pallido, quasi
impercettibile. I rossi e bassi tetti risaltavano, tra quelle amene valli
appena arate.
La pioggia era cessata e le nubi si erano sparse qua e là, come se
cercassero un rifugio. Si vedeva anche una striscia azzurra di cielo e
Luigi, guardandola, pensò subito a Caterina. Sembrava di vederla
intenta a preparar la tavola, sui fornelli di carbone acceso e con il viso
arrossato dal calore. Gli sembrava di vederla muoversi con la solita
grazia, parlare, rispondere alle domande del marito, che la seguiva
con gli sguardi, desideroso, ansioso di possederla.
Gli pareva vederla al suo fianco, di esserne al contatto, di sentire
il calore del suo corpo.
Ormai era entrato in paese. Passò davanti all’ufficio postale e non
vi fece neppure caso, tanto sapeva che era chiuso.
Andò al ”Su Nuraghe”, una vecchia trattoria, in cui, oltre al frugale
ma buon pranzo, poteva trovare gli amici. Percorrendo, col calesse,
 gli ultimi tratti di strada, vedeva i paesani e li salutava con un
gesto garbato del braccio e quelli pure lo salutavano.
Alcuni vecchi, dalla barba canuta, si toglievano il cappello, in segno
di rispetto.
Arrivò alla trattoria, scese dal calesse, prese dal cassone posteriore
un sacco di paglia e fieno frammista ad avena e lo legò alla bella
nuca di Muritu che, affannato e stanco, chiuse gli occhi e cominciò a
mangiare.
Luigi entrò, salutò Antoni, il gestore, e si sedette ad un tavolino.
Ben presto la bettola si riempi di giovani paesani e di anziani, con
la pipa d’ogliastra tra i denti ingialliti.
Amici e conoscenti non tardarono a farsi incontro a Luigi, che da
tempo non vedevano. Lui rispondeva affettuosamente ai saluti, mentre
mangiava una porzione di profumato capretto arrostito.
Strano! Proprio adesso non pensava a Caterina. Forse ne era distratto.
Forse erano gli stessi suoi amici. Ma lui continuava a parlare
e a bere, tranquillo, come se nessuno per lui esistesse. Mangiava e
beveva.
A casa, intanto, Caterina era disperata. Aveva chiamato Bepi e gli
aveva chiesto se il padrone gli avesse detto qualcosa. Bepi assicurò di
non aver udito niente. Anche lui però si meravigliò ma non disse alcunché
alla sua padrona, per tema che ella si impaurisse ancor più.
Lei, Caterina, aveva meticolosamente, come sempre, preparato il
pranzo e aveva aspettato il consorte fino alle dodici e trenta, anche
all’una.
Da allora, visto che non arrivava, sparecchiò, triste e pensosa, e
andò a letto senza mangiare.
La paura che al marito fosse successa qualcosa la terrorizzava e
in quegli attimi non era capace di muovere un dito. Si coricava e
aspettava in una ansia tremenda.
Fuori la pioggia, mutatasi in grosse, lunghe gocce, batteva sul tetto,
sulla finestra, sulla porta e in questi rumori ella ravvisava i passi
di suo marito, il respiro affannoso suo. Ma trattenendo il suo stesso
respiro si convinceva che ciò era dovuto allo scroscìo delle acque.
Caterina non era gelosa e mai pensieri brutti cavalcavano la sua
mente.
Era sicura dell’amore del coniuge. Altre volte, Luigi si era assentato
e, sempre, nella di lui mancanza non aveva mai pensato al male, al peggio.
Per questo andavano d’accordo e si amavano.
Lui pensava a lei, lei pensava a lui. Sempre.
Al ”Su Nuraghe” Luigi aveva finito di pranzare ed era rimasto da
solo con Antoni, in attesa che l’ufficio postale aprisse, alle quindici.
Tra un discorso e l’altro, venne l’ora di andar via.
Luigi strinse la mano ad Antoni, che mandò i saluti a Caterina.
Non appena fuori, Luigi diventò triste. Pensava che per molto
tempo non aveva avuto in mente la moglie, che lui non se ne ricordava,
che gliela aveva ricordata un altro. Così pensando salì sul calesse,
arrivò all’Ufficio, prese quel che doveva prendere e, sempre
soprappensiero, prese la via del ritorno.
Pensava - Cosa avrà detto Caterina? Cosa avrà creduto? Avrà avuto
paura?
E’ sola! Il mio tesoro ed io sono stato lontano da lei tutto un giorno!
Oh! crudele che sono! -
Ciò diceva, mentre Muritu, testa alta e orecchie tese, trottava leggermente.
La pioggia aveva ripreso a cadere. La strada era diventata fangosa
e impraticabile. Luigi pensò opportuno di prenderne un’altra, più
pestata e anche più corta e così fece.
Arrivato ad un trivio, imboccò il sentiero che si trovava al centro
e non tardò molto ad entrare nella fitta boscaglia de ”La Capannedda”.
Qui non pioveva e c’era un profondo quasi sacro silenzio.
Si sentiva solo un leggero fruscio di fronde, che il vento scuoteva in
cima agli alberi. Le ruote, i loro sbalzi, i loro cigolii, erano l’unico
rumore che interrompeva quell’incanto.
Giunto ad un esile rivo, Muritu si abbassò e bevve profondamente.
Luigi, assieme alla sua bestia, era il solo elemento vivo che si trovasse
in mezzo a tanta natura selvaggia. Egli pareva gustare quel
silenzio, quella solitudine. E ora, mentre il cavallo si dissetava, Luigi
non sentiva altro che il ticchettio, quasi sommesso, delle gocce, che i
rami stillavano di basso. Pensò ancora a Caterina, alla sua solitudine,
alla sua paura.
Tirò le redini e Muritu, spinto da novello vigore, prese a correre,
quasi conscio degli affanni del suo padrone.
Che si sentiva già a casa, gli pareva di star per abbracciare Caterina,
tanto il desiderio gli si fece vivo. Luigi stava per arrivare, era impaziente,
comprimeva le redini e a momenti sorrideva di gioia.
Ecco, era in vista della sua casa, del suo focolare!
- Dai ! Ancora un po', Muri’, e ci siamo! -
A cento metri dalla casa, vide Caterina, sulla soglia. Stava per farsi
buio, mentre una leggera pioggia accompagnava la fine del giorno
che se ne andava.
E nell’oscurità, ella sembrava triste. Diventò triste anche Luigi.
Giunto vicino alla moglie, le sorrise. Si guardarono, si fissarono
avvinti dai loro stessi occhi, risero dolcemente.
Si abbracciarono ed entrarono in casa.
Muritu ebbe ancora la forza di nitrire, mentre la pioggia continuava
a cadere.

Sassari 1957 - a casa di babbo.

1 commento: