Il fiume Pimpa non era poi così lungo, nasceva una
decina di chilometri più indietro, da rocce arenarie incastonate in una
suggestiva montagnola a forma di trapezio strano, asimmetrico.
Scorreva, il fiume, fra canneti abbrustoliti dal
sole, piccole pianure di giunchi e qualche laghetto dove ranocchi e piccoli
pesci d'acqua dolce si riunivano, a volte, felici e numerosi, quasi a
ringraziare cotanta e splendida natura.
Alla fine della sua corsa, improvvisamente, si allargava
in anse diverse e dolci, a voler abbracciare quel mare di meraviglie che aveva
di fronte e pareva lo invitasse a tuffarvisi.
Qualche roccia, l'una possente, tal altra più
mingherlina, si faceva accarezzare dalle sue acque, sempre limpide, mai arrabbiate
o invadenti.
Animali di tutte le specie, piccoli e grandi, gli
giravano intorno, bevevano e s'immergevano, sia per rinfrescarsi che per dare
una spruzzatina di pulito ai propri corpi..
Una
mattina di settembre, l'alba era nel suo passeggero splendore, alcuni animali
parevano agitati, si muovevano avanti e indietro, le orecchie rizzate, ansiosi
di spostarsi ma non lo facevano.
Anche gli uccelli disegnavano voli nervosi,
s'inerpicavano nelle vie del cielo e dopo, quasi a precipizio, lambivano le
acque del fiume e del vicino mare.
Riccardo,
arrivato in quei lidi da favola, da un'isola molto lontana e altrettanto
meravigliosa, era lì, un po' assonnato, un po' volutamente sveglio anche perché
non sapeva niente di quello che stava per accadere.
Girava lo sguardo a destra e a sinistra, gli occhi
al cielo per due uccelli coloratissimi che s’inseguivano a cento all'ora, ma
erano solamente innamorati e quella corsa era la loro corte d'amore.
Da dietro un cespuglio sempre verde andava
formandosi un'ombra scura e gigantesca, quasi immobile e paurosa, nel silenzio
più totale.
Riccardo,
forse anche stanco, era seduto su di un grosso ciottolo umidiccio ma a questo
non aveva fatto caso.
Era interessato ai colori, ai movimenti di tutto
quel che vedeva, al vento che gli scompigliava i capelli, dimenticati un po'
lunghi da mamma e papà. Ma non ne era infastidito.
All'improvviso
s'alzò in piedi, quasi che volesse sfidare qualcuno o, al contrario, che avesse
paura, ma di cosa e di chi?
Di quell'ombra che avanzava, silente e poderosa?
Sì, sì, si era alzato perché preso da quell'ombra che tale non era più, ma che
cos'era?
Ecco
cos'è! - disse Riccardo -, è un ippopotamo! Mamma mia, un ippopotamo, che
brutto! che bello! E ora casa fa?
L'ippopotamo, tranquillo, muoveva i suoi piedoni
con eleganza, era grigio-scuro e non aveva o dimostrava alcunché di minaccioso.
Camminò per un centinaio di metri, tra sabbia e fanghiglia pulita, poi si
adagiò sapientemente su una larga pozzanghera che lui senz'altro conosceva,
poiché pareva fatta a sua misura.
Spalancò
la bocca, e che bocca! I suoi due canini sembravano due fari bianchi. Scosse il
corpo, sbatté i piedi e alla fine rotolò su se stesso, beandosi come creatura
umana.
Ma
perché, forse, non lo era?
Riccardo, ormai senza paura, estasiato e felice,
seguiva tutta quella scena, braccia allargate sul dorso, pronto a una eventuale
improbabile fuga.
Uccelli e uccellini si alternavano sul groppone di
quella bestia, quasi a far festa, ma il bambino capì subito che gli stavano
addosso per ripulirlo delle migliaia d’insetti attaccati ai suoi peli e anche
alla pelle che, forse soffriva seppur ruvida e spessa.
Un attimo di pausa, l'ippopotamo semi sommerso, il
suo respiro pesante, nuvole di moscerini e insetti, l'aria quasi torbida, il
fiume, le sue anse, i cespugli a forma
di capelli spettinati, il cielo abitato da qualche nuvola, il mare della
battigia conchigliata e colorata, con le alghe a spasso per una brezza sottile,
e Riccardo?
Sempre
lì, coi piedi insabbiati, a rigirarsi su sé stesso, quasi a cercare altro, di
quella natura che lo stava sovrastando.
-
Ora me ne vado, fa caldo, il sole brucia e la mia pelle non è
sufficientemente predisposta a riceverlo. Me ne vado, raggiungo i miei compagni
d'avventura anche se ho dimenticato se devo continuare in avanti o tornare
indietro.
Questo, Riccardo, andava pensando e dicendo ma non
si era accorto che, fino a lui, ai suoi piedi, era arrivato un granchio, pure
grande! Un granchio? E cosa ci faceva lì, lui, vicino a me e a un ippopotamo?
Boohh!
E cominciava a perdersi fra cento pensieri e la natura poteva regalargliene
mille e ancora mille altri.
Si chinò, guardò il granchio negli occhi,
accarezzò la sua corazza iridescente, pareva ne godesse, mentre le sue chele
riprendevano a muoversi, senza problemi, verso quell'acqua di mare che
dondolava lenta e pulita.
E
allora Riccardo si avviò per davvero, in cerca dei suoi amici...per
raccontare.....
Gavino Puggioni
Inedita
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