Piazza Mirabello, la casa di Anna e Mariangela Melato di fronte, la costruzione bassa sul retro, è la sede del Corriere della Sera |
Un quadro.
Ecco cosa mancava sulla parete
bianca, di una vita ormai agli sgoccioli. Un quadro in bianco e nero, una
vecchia fotografia di quella piazzetta dal nome poco indicato per la grande
metropoli di Milano: Mirabello. Chissà cosa c’è di bello da mirare, non lo so.
E’ una piazza come tutte le altre, qualche albero striminzito, nel centro poche
aiole e un vialetto che le taglia in mezzo. Qualche panchina per le persone
anziane, e per noi giovani, che ci sedevamo a suonare la chitarra.
Guido e Sandro Someré |
E’ un bel quadro, ma in bianco e
nero, perché i colori si sono sbiaditi col tempo. Però ricordo. anche se ero un
personaggio non dipinto nel quadro, che stavo lì a guardare, partecipavo in
disparte. Osservavo.
Sulla piazza si affaccia un bar,
avrà anche avuto un nome, ma noi lo chiamavamo “dall’Oreste”. Era il nome del
proprietario, un omone grosso e buono come una pagnotta. Si trattava di un bar
senza pretese, non come i bar attuali, che curano l’arredamento, preparano
sfiziosi panini o drink. Se volevi mangiare, pane e salame erano sempre a
disposizione, come un toast farcito. Se volevi bere, non mancava nulla di quel
che c’era, dai superalcolici all’ aranciata. Caffè e cappuccini con briosce
sempre fresche. Il locale era grande,
a me pareva immenso: nel centro, due grandi tavoli da biliardo, in fondo,
addossati alla parete, alcuni jukebox. Dei vecchi tavolini di legno e sedie non
proprio accoglienti, erano il resto dell’arredamento, oltre al banco del bar.
Pur essendo un locale così
scalcagnato, era molto frequentato, da gente di ogni età e ceto sociale. Poco
distante da quel bar, si trova il Tombun, locale frequentato fin dall’ottocento
dagli artisti squattrinati, pittori che pagavano la consumazione a suon di
quadri e, un po’ più in là, all’angolo di Via Brera, c’è il Giamaica, altro bar
frequentato dai soliti noti, studenti dell’Accademia, pittori, musicisti, e quegli scatenati che organizzavano
gli scioperi del famoso “68.
Nel quartiere Brera, quelli erano
i locali maggiormente frequentati, ma dall’Oreste era un mondo tutto
particolare.
Anna Melato |
La sera, ci si trovava per
decidere dove andare, se al cinema o a ballare in qualche discoteca. Discutendo
le varie proposte, riuscivamo a tirare così tardi, che alla fine non si andava
da nessuna parte. Allora si giocava a boccette –io con la stecca non ci andavo
d’accordo – e se riuscivo a fare filotto – saltavo come una matta, dando pacche
sulle spalle a destra e a manca.
Alcune sere, però, i tavoli da
biliardo erano intoccabili: arrivavano i fratelli Somaré, con Patrizia, non ho
mai capito se fosse fidanzata con Sandro o con Guido, erano sempre insieme come
i tre moschettieri! Patrizia era la figlia di Tonino, e nipote di Alberto
Ascari, i campioni di automobilismo. I due fratelli, pittori affermati, erano
più grandi di noi ragazzi di almeno una ventina d’anni, e ci toccava soccombere alla loro arroganza.
Il massimo del piacere avveniva
quando Victor e Maurizio entravano nel bar, e con nonchalance dicevano ai
moschettieri di smammare! Che soddisfazione vedere quei tipi con la puzza sotto
il naso, e sacramentando nel
classico birignao milanese, allontanarsi con la coda tra le gambe! Ma Victor e
Maurizio non erano persone qualsiasi, erano quelli dell’Equipe 84 e nostri
buoni amici. Fingevano di fare una partita, e poi ci cedevano il biliardo!
In quel bar scendeva spesso
Mariangela, si tratteneva un attimo con la sorella Anna, poi andava in teatro
per le prove della commedia ‘L’inserzione” di Natalia Ginzuburg. Mariangela
aveva già quella voce profonda, da gran fumatrice senza aver mai fumato in vita
sua. Anna invece suonava la
chitarra, componeva qualche canzone, ma aveva solo 17 anni e due occhi verdi
enormi, da far invidia ad un ranocchio! Era molto carina e mia buona amica.
Dopo che le sorelle Melato si furono stabilite definitivamente a Roma, ho
sempre fatto visita alla loro mamma Lina, fino a qualche anno prima della sua
morte.
Ma questo fa parte della cornice
del quadro.
Dentro quel bar, non mancava mai
Piper – non chiedetemi il suo vero nome, forse non l’ho mai saputo, un ragazzetto
alto e secco, sempre insieme alla sua Ornella, che lo seguiva come un’ombra.
Piper, così soprannominato perché fanatico di quella discoteca dove una certa
Patty Pravo cantava quasi tutte le sere, purtroppo aveva un problema: fumava.
Ma non Malboro o Luky Srike, fumava spinelli, e sempre di più, per cui era
schizzato come non pochi! Passava
da uno stato di euforia, a quello colmo di nervosismo, e non sapevi mai quando
era di luna buona. E’ morto vent’anni fa, a soli 39 anni. Overdose, dicono, e
Ornella era sempre al suo fianco, accanto alla bara.
Ma anche questo, fa parte della cornice del quadro.
Franco si sedeva accanto ad Anna
e me, sulla panchina del giardinetto, e suonavano la chitarra in perfetto
sincronismo, cantando canzoni di Fabrizio De Andrè. Franco aveva una voce
profonda, alla Elvis Presley, per intenderci, malgrado i suoi soli 16 anni. Suo
fratello Massimo, invece, era già al secondo anno nella facoltà di “non ricordo
più”, ma faticava a studiare. Non aveva problemi a dirci che andava avanti a
methedrine, anfetamine e altre stupefacenti cose! Sosteneva che era l’unico
modo per riuscire a studiare e passare almeno un esame. Risultato?
Anni dopo hanno suonato alla
porta di casa mia, per consegnarmi un’ordinazione di libri della Mondadori: il
fattorino era Massimo…si era bruciato il cervello, e addio università! Ha
dovuto accontentarsi di un lavoretto di poco conto.
Ma anche questo fa parte della
cornice del quadro.
Il pittore Franco Pedrina |
Arrivava, nel pomeriggio del
sabato o della domenica, un gruppo di ragazzi “bene”, allora si usava definire
così quei figli di papà cui non mancava nulla: auto sportive di grossa
cilindrata, abiti firmati, soldi in tasca, e una spocchia da far spavento. Con
aria annoiata, di quelli a cui basta un gesto per avere tutto, come quella
pubblicità di un profumo maschile “per l’uomo che non deve chiedere mai”. Si
sedevano al nostro tavolo, senza domandare se disturbavano, e chiedevano: che
vogliamo fare stasera? Volete venire con noi ad una festa? E poi si guardavano
con sguardi d’intesa, certi di ottenere una risposta positiva: futuri
giornalisti del Corriere, futuri notai, futuri avvocati….futuri rompiballe!
Anna, Ornella, Loredana ed io li
guardavamo di sottecchi e poi rispondevamo loro di non scocciare, che avevamo
meglio da fare che perdere tempo con gente noiosa come loro! Credevano di far
colpo con le loro auto di lusso, e tutto il resto? Oddio, erano anche dei bei
ragazzi, su questo non ci pioveva, ma sapevamo che erano quelli che allungavano
le mani, e che cambiavano ragazza con la stessa frequenza con cui cambiavano i
calzini! E noi non intendevamo essere prese in giro da quei cascamorti!
Sandro è diventato un calibro 90
del Corriere, pagine di economia e finanza; Michele, notaio affermato, è stato
colpito da infarto a 50 anni, dopo aver giocato a calcetto con gli amici. La
figlia Federica, che gli somigliava come una goccia d’acqua, disperata per la
morte del padre, ha accettato l’invito di un amico di famiglia, che l’ha
portata col suo aereo privato in Amazzonia, per distrarla un po’. Sono
precipitati. Lei aveva solo 28 anni, ed erano trascorsi soli pochi mesi dalla
morte del padre.
E anche questo fa parte della
cornice del quadro.
Pittore Gianni Dova |
C’era un ragazzo, Alberto, che
quando mi vedeva, si illuminava d’immenso. A 18 anni ero magra e bionda, e in
un certo qual modo potevo rassomigliare a Nicoletta Strambelli, per la quale,
come tutti i ragazzi dell’epoca, andava pazzo. Già da lontano lo sentivo
gridare: sta arrivando Patty Pravo! Ed io infatti, a bordo del mio Ciao,
stavo per raggiungere il bar.
Non volevo storie con nessuno, mi
piaceva la compagnia di tutti, stavo bene con le mie amiche e con i loro amici,
mi piaceva incontrare qualche pittore di una certa notorietà, come Gianni Dova,
o Franco Pedrina, lo scultore Luciano Minguzzi, i fratelli Somaré e altri
ancora, noti o meno noti. E qualche cantante, come quelli dell’Equipe 84, ma
preferivo Anna, che aveva davanti una bella carriera non solo in campo
musicale.
Una sera, un ragazzo di colore
era seduto ad un tavolo del bar, e piangeva come una fontana. Gli abbiamo
chiesto cosa fosse successo, all’epoca non c’erano vu cumpra’, o gli
extracomunitari. Se a Milano si incontravano stranieri, di norma erano
regolari. Ci ha spiegato che aveva scoperto di essere stato adottato, da
genitori italiani, bianchi! Ma ragazzo mio, potevi ben saperlo che non era
possibile tu fossi uscito nero, da una
coppia di genitori bianchi! L’ingenuità di quel ragazzo ci ha intenerito
e gli abbiamo spiegato che se è stato desiderato dai suoi genitori adottivi, è
sicuramente amato quanto un figlio generato naturalmente.
Scultore Luciano Minguzzi |
I giorni trascorrevano felici,
dall’Oreste, le amicizie si rinsaldavano, ma io non ero dentro quel quadro: non
ho mai veramente legato con qualcuno in particolare: stavo in mezzo a loro,
condividevo musica, discorsi, uscite, passeggiate, film e concerti, ma era come
se fungessi da spettatore. Quella vita non mi apparteneva, io ne avevo
un’altra. Il bar di Oreste non esiste più, morto il gestore, morì per inedia
anche quel simpatico locale.
Anch’io facevo parte della
cornice del quadro.
Il quadro è talmente sbiadito,
che penso di conservare la cornice, mentre la foto di gruppo la porto in
soffitta, tra le ragnatele dei ricordi.
Danila Oppio
Edito su Aphorism
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RispondiEliminaCiao sono Renzo Ranzani figlio dell'ex tabaccaio di Largo Treves. Sono stato fidanzato per qualche tempo con l'Anna Melato.
RispondiEliminaTi scrivo in merito a quel raccontino che per altro ho apprezzato molto intitolato "Un vecchio quadro"
Il Piper non è morto di overdose perché da parecchi anni aveva messo la testa a posto, ma di leucemia mieloide.
Grazie Renzo Ranzani