Come un’arpa verde
m’inerpicavo verso il sentiero delle aquile,
ero pieno di sole e
di ciliegie rosse, sembravo un usignolo,
scovavo le cicogne
della notte e m’imbrattavo l’anima di rimmel,
ripercorrevo il fiume
della vita e fu ai suoi bordi che vidi anche la morte.
Era assiepata
all’angolo del male e proferiva versi di un demonio,
aveva occhi di luna cieca
enormi come il possente ventre di un alano,
prendeva la mia mano
e la baciava fino a farla diventare viola,
la sua tremenda bocca
diceva l’ultima parola, non dava scampo al sole.
Ed ero un uomo inerme,
un uomo soffocato da pensieri deliranti,
allora ricordai quel
tempo dolce dei fichidindia dalla pancia gialla,
di quelle spine dentro
i piedi scalzi, della mia infanzia scaltra,
allora ricordai la
stella immensa che m’indicò il
senso dei miei giorni.
E piansi per non aver
seguito il vento del destino, la strada già tracciata,
per non aver baciato
quella fata che m’inseguiva nei miei sogni bianchi,
per non aver bevuto a
quella fonte dove il cerbiatto astuto si specchiava,
dove una rana verde
decifrava tutte le strane formule dei rospi.
E fu così che giunsi
fino al mare dove altri uomini piangevano in silenzio
ed abbracciavano enormi
pesci albini vestiti da dannati di Mauthausen,
nel centro della luna
il viso triste di Adolf Hitler vestito da Madonna,
più in là
nell’universo sconsolato la grotta di Betlemme piena di sangue.
E sangue, ancora
sangue, ancora altre figure dipinte di pus di embrione nano,
e ancora sulla riva
la pillola RU286 già pronta a trasformarsi in una stella,
nel centro della
storia il viso furbo di Erode incompreso precursore,
il grembo ormai
ridotto ad una larva dove imperversano le cellule di Venter.
Ancora fiabe assurde,
astuti ideatori della vita che sfiancano gameti deportati,
ancora mani sporche
di ovociti che applaudono al teatrino della morte,
ancora torte anemiche
di isterici scienziati confusi alla stregua di Pilato,
ancora feti luridi nel campo pullulato di pecore dagli organi incompleti.
Come un’arpa verde
m’inerpicavo verso il sentiero degli improbabili cloni,
ma non trovavo il
seme della vita, soltanto nidi vuoti con uova di pulcini violentati,
soltanto paglia
sporca, soltanto adolescenti senescenti con l’anima salvata nel desktop,
soltanto fari spenti
nella notte, soltanto sogni orrendi masterizzati senza pentimenti.
E fu così che
accarezzai l’aurora implorandola di abbandonare il cielo,
ma il vento che
soffiava contro senso era
tremendo e soffocò la mia flebile
voce,
ero un naufrago
assurdo nel mare minaccioso dove danzavano sirene lussuriose,
il loro canto erotico
mi tormentava il cuore e finsi di morire fra le onde.
Raggiunsi una
scogliera dove guizzavano terribili avannotti di byte copulanti.
Ed ero un uomo
inerme, un uomo soffocato da pensieri deliranti.
Antonio Rossi
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