In una romantica notte d’estate sentivamo il canto delle stelle lunari
e come due rossi
gechi incatenavamo il nostro cuore alle ali degli angeli,
eravamo in un mondo
di fragole di rugiada e di orchidee perpetuamente bianche,
eravamo leggeri come
quel vento di maggio che ci aveva sfiorato i capelli.
Ritornavamo
all’origine della nostra innocenza sicuri di ingannare la voce del tempo,
vedevamo lucciole che
si accendevano per noi e avevamo la forza dei puledri del sole
e ridevamo, ridevamo
di quelle ombre ridicole che percorrevano la direzione del male,
noi eravamo il sogno
che si presenta nelle albe ruggenti quando la primavera sboccia.
Noi eravamo la
primavera e le nostre labbra si aprivano come petali di rosa,
dominavamo le parole
e i concetti filosofici, eravamo al di là dei patetici gatti,
pazzi d’amore per le
rondini le seguivamo con lo sguardo fino al mare delle carezze
e lì ci adornavamo di
foglie di biancospino e consolavamo le volpi argentate.
Noi eravamo il canto
eterno della vita che nasceva nel giardino del silenzio,
la soffice neve che
ricopre i fili d’erba della morte e i cardi pungenti,
i cavalli verdi
dell’anima che galoppano all’infinito per scongiurare il sangue,
noi la musica, noi le
arpe, noi e solo noi, perdutamente innamorati della vita.
Noi nella vita, nella
nostra vita, sempre inseguita dalla morte, ma forte
come un ramo d’ulivo
che sorregge la iena del tempo appesantita dal fango,
noi in un tango
ballato alla luna, noi la fortuna, la cruna di un ago di pino,
noi nella vita, nel
covo delle formiche, nel nostro giardino, nel nostro silenzio.
Noi il silenzio che
non fa sentire la vita, il silenzio che non fa sentire la morte,
il silenzio che ti
prende per mano e ti porta in un bosco dove piange una vecchia colomba,
nella penombra di un
albero sospeso dai rami cristallo dove si è rifugiato un elefante gallo,
che si lecca le piume
bagnate e depone le uova spaccate dentro i nidi dei falchi affamati.
Che si lecca i
peccati generati in un secolo astratto ripudiato scontato mai nato,
che si spoglia degli
abiti sporchi infilzati nei cespugli sanguigni dei rovi,
che si azzanna, che maledice
le vergini rane, che regala collane di amianto,
nel rimpianto di
uomini stanchi condannati al lavoro forzato nei campi.
Condannati a subire
il passato, il presente, il futuro, la rovinosa caduta di un muro,
le opzioni del
nascere in grembo, il presepe spogliato dei Magi, il clonaggio di Dio,
il drenaggio del
sangue, gli usignoli in attesa di un arto, il testardo violino scordato,
gli intestini del
diavolo giallo, il felice vibrare in un prato di aquiloni bucati dal piombo.
In un romantica notte
d’estate sentivamo il canto delle stelle cadenti.
Noi nella vita, nella
nostra vita, nel nostro giardino, nel nostro silenzio.
Antonio Rossi
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