Di fronte, il mare, a cento passi,
accogliente, a volte bizzoso, a volte minaccioso.
I grandi, gli adulti, non lo vedono e
neanche lo rispettano. I bambini sì che lo rispettano perché vedono nelle onde
altalenanti il movimento scomposto di giganti marini che si avvicinano e si
allontanano e allora, non conoscendoli, vogliono starne a distanza.
Il fragore delle onde che si abbattono
sulla spiaggia é, per loro, un monito, un avvertimento che li costringe a stare
lì, sulla battigia, a costruire, con manate e colpi di piedini, piccoli grandi
castelli che, dopo, cederanno alle acque prepotenti delle maree.
E qui avviene e si svolge la favola di
Camilla, anzi incomincia proprio dall'ingresso in quella pineta dove Gavino,
futuro nonno, vuole fare il nonno, ma non ci riesce.
Però trova due rami d'albero rinsecchiti
e decide di ripulirli da foglie secche inutili; prova a limare i nodi che
possono far male e riesce a fare due finti bastoni. Fa finta di appoggiarvisi,
quasi in un dinoccolare lento e faticoso, proprio come si addice ad un nonno
vecchio e malfermo sulle gambe.
Camilla lo vede, ride e tenta di
imitarlo, ma non ci riesce. Lei prende un bastone e, tenendolo in mano, lo
affonda nella sabbia umida, come a dimostrare il suo peso sulla terra che cede.
Dopo, i due bastoni vengono conficcati, a
breve distanza, nella rena umida, uno di fronte all'altro, quasi a disegnare un
confine. Sulla loro cima sventolano già due fazzoletti bianchi e pare che
salutino chi viene e chi va.
Dentro quel confine, come per magia, c'é
già un castello, coi suoi torrioni e le sue stradine, frequentate da tanti
guerrieri che hanno la forma di pezzi di foglie, di alghe verdognole e gialle.
Ci sono cani e gatti e pure porcellini, ignari del loro destino.
Camilla vuole anche la macchina, come
quella di papà, pensa, ma quel nonno le dice che nei castelli non ci sono mai
state macchine, se non quelle della guerra, ma questo non glielo spiega e fa
bene.
Allora vuole una festa di bambini, come
lei, e il nonno che non é nonno, toglie dalle viuzze del castello i guerrieri e
mette tanti bambini, creandoli dagli steli delle erbette colte lì vicino.
Camilla ci crede e, addirittura, ne fa
cadere uno, di quegli steli, al quale aveva dato un nome di una sua amichetta,
evidentemente antipatica e scontrosa. Il nonno la invita a chiedere scusa, ma
la sua ragione é più forte e non cede e lui non osa chiedere perché.
L'innocenza é forte, ma la volontà, a
volte, sovrasta l'innocenza.
Ora il sole brucia, i bagnanti sono tutti
spaparacchiati a prendere la tintarella e qualche bambino s'é ricoperto di una
maglietta o é corso sotto l'ombrellone di mamma e papà, per evitare già
evidenti arrossamenti, se non scottature.
Meno male che Camilla questo problema non
ce l'ha. Lei continua a divertirsi e a scorrazzare intorno al suo castello,
popolate delle sue fantasie che riesce a trasformare in piccole sue realtà.
Realtà che, alla fine, riesce ad imporre alla nonna vera, ad un altra finta
nonna e a quell'altro sempre finto nonno.
Camilla continua a fantasticare, anche
perché il castello è ancora integro, nonostante qualcosa lo minacci da vicino.
·
Come si chiamano il Re e la Regina di
questo castello? - domanda – e i figli, i principini?-
·
Che domanda difficile per il finto nonno,
ma la fantasia lo aiuta.
·
Si chiamavano, lui, Re Pensiero e lei
Regina Speranza. I figli principini, che erano tanti, non avevano un nome
proprio, troppo faticoso a ricordare. Tutti si chiamavano Amore, in onore al
sentimento che li aveva creati!-
·
Re Pensiero? - si meraviglia la bambina.
·
Sì, sì – si affretta il finto nonno –
perché era un Re che pensava molto e bene per i suoi sudditi, che lo adoravano.
Regnava con amore, appunto, e rispettava tutti gli abitanti del suo piccolo
regno, dando a ciascuno una casa, un lavoro e la possibilità di partecipare
alle riunioni del governo, che doveva decidere dell'avvenire di quel
territorio.-
Camilla, interessata, ascolta quasi
incantata, ma non si sta accorgendo, ahimè!, che quel finto nonno sta facendo
fatica a ricordare quegli episodi, che lui stesso ha preso in prestito da
un'altra favola.
Il brusio delle chiacchiere intorno e la
radiolina di qualche maleducato confondono, alla fine, quel racconto e
l'affondano per davvero. Già nell'ora del primo pomeriggio la brezza è
diventata venticello, il quale, approfittando della sua prepotenza, ha
ingrossato le onde e le ha mandate ad infrangersi esattamente attorno al
castello, inghiottendolo.
Gavino Puggioni
Da Nel silenzio dei rumori
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