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mercoledì 6 febbraio 2013

GALLERIA D'ARTE: GIOVANNI DE SIMONE PRESENTAZIONE


EMOZIONI LIRICHE NELL’OPERA DI GIOVANNI DE SIMONE
La prospettiva critica entro al quale collocare la pittura di Giovanni De Simone è particolarmente difficile da definire: prima facie si potrebbe classificare la sua modalità creativa come sorte di “variazione sul tema” nell’ambito dell’informale ma poi, questa definizione appare subito insufficiente ed asfittica.
E’ insufficiente, giacché le istanze produttive che vengono suggerite ed avanzate da Giovanni De Simone vanno al di là dello specifico ‘materico’ che connota e distingue la temperie informale; è asfittica, poiché il respiro psicologico ed etico che rimane sotteso alle opere del Nostro non sopporterebbe di essere ingabbiato entro uno spazio stilistico che non fosse capace di lasciare espandere gli ansiti ‘concettuali’ che richiedono al fruitore un rapporto attivo e non una mera soggiacenza ammirativa.
Ecco, allora, profilarsi, tre direttrici di pensiero che possono far da guida nell’accostamento – necessariamente in punta di piedi – alla pittura di Giovanni De Simone: la linea informale, il profilo concettuale, la vibrazione espressionistica. Questo terzo aspetto, la vibrazione espressionistica, qui introduciamo come individuazione di una ragione stilistica che ci riveli la natura profonda di quello spessore timbrico cui l’artista affida la pregnanza rivelativa del suo pensiero.
Confortati, poi, dal pensiero di Giorgio Castelfranco, che ha dimostrato – parlando degli esiti della ‘Scuola Romana’ – come sia possibile la convivenza apparentemente inspiegabile di motivi tonali in un contesto espressionistico, ci sentiamo più sicuri e sereni nel riconoscere nell’opera di Giovanni De Simone queste tre componenti che abbiamo appena enucleato e nell’osservarne la coesistenza armonica senza che l’ossimoro apparente ed emergente denunci, in realtà, una patente contraddizione in termini.
Abbiamo, comunque, però, nel rispetto del paziente lettore che ci segue, bisogno d’additare un elemento catalizzatore, un filo d’Arianna che ci guidi e che ci sembra di poter ragionevolmente suggerire nella sensibilità lirica che pervade tutta l’opera del Nostro, facendone un prezioso ricamo, in cui la tramatura ineffabile si fa ordito ispessito e resistente non in virtù dell’aggrovigliata matassa dei nodi, ma dell’intreccio ordinato dei fili e della logica profonda che presiede un progetto di più ampio respiro.
Logica e materia, ispessimenti ed accentature timbriche e, a reggere il tutto, l’esigenza lirica di un pensiero che si diffonde in un empito espansivo senza confini e senza gli ostacoli della contingenza.
Ad osservare il percorso creativo, dal 1964 ad oggi, di Giovanni De Simone che consta di 14 cicli, la fonte (quella del fratello e di amici), che lui afferma di averlo “dissetato”, lo ha, piuttosto, nutrito ed esaltato nel suo sentire profondo, allineandone le ricerche personali ad una formulazione discorsiva il cui portato eidetico non fosse frastornato da un esemplarismo catturante, ma stimolato, bensì, a lasciar germinare, juxta propria principia, tutto il patrimonio di esperienze e sensibilità personali man mano accumulate.
La scelta dei materiali, la curiosità intellettuale, lo spirito di investigazione e il pensiero che urge a dire con forza le cose che s’hanno dentro sono in Giovanni una rimeditazione ripensata e addolcita. Le sue stesse parole, sul punto, appaiono illuminanti: “Lunghi periodi di stasi, dovuti a diverse situazioni, mi hanno permesso di graffiare l’azzurro del cambiamento e della riflessione”.
Queste parole ci risuonano straordinarie. C’è la violenza aggressiva del graffio che si diffonde nell’azzurro del cambiamento e la riflessione è il letto del pensiero in cui le idee riposano e lasciano germogliare i propri virgulti.
C’è un’opera, in particolare, di Giovanni, del 1970, Poesia, che propriamente si dovrebbe iscrivere nel contesto della ‘Poesia Visiva’ e che a noi pare di una delicatezza estrema pur nella cruda violenza che denuncia e di cui testimonia il portato. In essa, il profilo d’un volto appena tracciato da una linea continua s’avvia con la parola “La speranza”, dalla cui coda della “a” si diparte il segno che descrive il viso indicato ed alla fine del percorso, laddove il mento finisce nella linea del collo, seguono le parole “L’ultimo filo che ci unisce si è spezzato”.
Ci coglie il rammarico profondo di non aver avuto conoscenza di Poesia 1970 qualche anno fa, in occasione d’una nostra disamina storica sul tema dei linguaggi ‘verbo-visivi’, poiché, volentieri, avremmo scelto di fare di quest’opera intensa e profondissima il filo conduttore del nostro discorso. In ritardo, provvediamo da queste righe a rendere ragione di tutto ciò e a denunciare la nostra ignoranza, rammaricandocene profondamente.
Come non riconoscersi, d’altronde, nell’esperienza lacerante di un ultimo filo che si spezza per sempre separandoci senza rimedio da ciò cui eravamo uniti.
In una visione d’insieme, le opere di Giovanni De Simone ci rivelano anche qualche altra cosa: un lungo ed argomentato percorso di riconoscimento di sé, il tentativo di narrarsi a se stesso, di fare della pratica dell’arte il luogo dello specchiamento interiore e del ritrovamento della coscienza.
In tale prospettiva, evidentemente, il risultato che il Nostro raggiunge appare ancor più prezioso ed utile per aiutarci a ritrovare noi stessi. L’arte, dalla notte dei tempi, replicando lo stupore di Narciso di fronte alla propria immagine riflessa, aiuta a capirci e l’artista sa guardare con intensità ed anticipo rispetto agli altri ed alle folle.
L’arte è sempre un intervento ‘sociale’, ma è ‘arte nel sociale’ se non si limita a narrare, ma sa coinvolgere e promuovere nel fruitore il bisogno di spendersi e di darsi.
Anche in ciò, le idee che propone Giovanni De Simone col suo percorso creativo si intrecciano in un prosieguo appassionato d’un discorso fecondo ed ideale in cui le esperienze si intersecano senza confondersi e limitarsi a narrare.
In via di chiudere questo nostro suggerimento di lettura, che proponiamo sommessamente al benevolo lettore, vorremmo richiamare, infine, l’attenzione, rimarcandone il portato, sull’intensità lirica degli accenti creativi dell’opera di Giovanni e lo facciamo sottolineando quella spontaneità sorgiva che la distingue e quel diffondersi del colore per campiture ordinate, talvolta esaltando una profilatura geometrica del tratto, talvolta lasciando che gli strumenti esecutivi si muovano seguendo una sorta di volo delle farfalle, depositando qua e là le reliquie preziose dei materiali che Giovanni predilige e che sono quelli stessi che la vita di tutti i giorni ci elargisce senza che noi sappiamo apprezzarne dovutamente i messaggi che sanno veicolare parlando a chi sa ascoltarne la voce. Sono questi tracce di cenere, fondi di vino, fondotinta, carte intrecciate, alcol, zafferano, smalto per unghie, graffi, tagli, cancellazione, caffè e quant’altro.
Non c’è gusto del minimalismo; non ce n’è, neppure nelle dimensioni delle sue opere, talvolta piccolissime o nella scelta di materiali come la carta che Giovanni candidamente confessa di preferire alla tela “perché più facile da trasportare nel mio peregrinare valtellinese”.
Giovanni pellegrino in Valtellina, come un pellegrino del Sud che ha portato con sé tutto il carico dei sentimenti della sua terra d’origine, sapendo fare esperienza di vita, al tempo stesso, e sapendo arricchire con il rapporto umano l’intensità della coscienza. Rosario Pinto (Critico d’Arte)

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