fantastoria di Danila Oppio
Maui
mi osservava. Sentivo il suo sguardo scivolare sul mio corpo. Quegli occhi,
enormi bottoni di luce gialla mi scrutavano ma, se lo guardavo, girava lo
sguardo altrove, con aria annoiata.
Arrivò dall’Oriente, con un lungo volo,
insieme ai bagagli dei passeggeri. Non subì shock particolari, come se fosse
normale per lui, dover affrontare un viaggio tanto scomodo. Forse era uso a
trasferimenti molto più impegnativi?
Era
un essere del tutto particolare: magnifico pelame grigio, schivo, non avvezzo a
coccole o complimenti di sorta. Si ritirava in qualche angolo nascosto della
casa, spesso occorrevano tempi lunghissimi per trovarlo, come svanito nel
nulla, quasi invisibile. Indipendente, indifferente, indisponente.
Gli
esseri umani ci inondano di parole, talora colme di cultura, più sovente,
sproloqui, pur di aprire la bocca e far uscire aria fritta. Maui invece taceva.
Mi piacevano quei suoi silenzi, e i suoi sguardi obliqui. Pare volesse osservarci, soppesarci,
come cavie da studiare, o animali da cui prendere le debite distanze. Maui si limitava a guardarci con
condiscendenza, e osservare di soppiatto tutto ciò che noi esseri umani
facevamo, pronto a prenderne buona nota. Un giudice inflessibile di
uomini-marionette, che si agitano rincorrendo chissà quale misterioso futuro.
Fu
così che una sera m’inviò questo messaggio criptico: “gli umani sono tanto
presuntuosi da immaginare gli alieni simili a loro, anche se in forme distorte,
pur se da millenni mandiamo chiari segnali, ma loro non li intendono”. I suoi
occhi divennero enormi ruote di fuoco e, come potenti reattori, portarono Maui
fuori dalla finestra. Tutto ciò che vidi, fu puntino un luminoso nella notte.
Sognai?
Ciò che è certo, fu che al mio risveglio il mattino successivo, Maui era
definitivamente scomparso.
Nessun commento:
Posta un commento