Caspar David Friedrich |
Allora forse verrebbe il domani, amore mio, verrebbe ad assolarci la fronte,
circumnavigata di ricordi improbabili, alcuni da implorare la cancellazione,
il definitivo disincanto, la maldicenza anche, ma non preoccuparti, una cosa vale l'altra
se si vive quest'oggi privo del suo ieri, e verrebbe a cullarci come brina fresca
il domani, spaziandoci delle malefatte persecuzioni rivolte a noi stessi,
spaziandoci dai nostri segreti pronti a diventare acqua, pronti a ritornare nell'utero
primordiale per far navigare barchette di cuori e coriandoli.
Io ci credo che il tempo passa e ritorna costantemente, ci credo
che abbia un senso tutto questo sentire, questo dolore, questa enorme mole
perché, se non ne avesse, un fiore, a quale luce estenderebbe il suo stelo,
per quale motivo il rinverdire dell'albero?
Ma noi moriamo lentamente, questo è il punto, ci vediamo morire
e gli occhi lo sanno, la pelle, che vi trasuda dentro, acquatile forma
disgregata da rincollare e lasciare, al suo declivio. Sorpassarla dovremmo,
renderci immortali oltre il corpo, plasmarci al cielo, ritrovare Dio,
lasciarci accecare senza paure, di luce piena, in piena faccia, amare, ancora.
Ora lasciami piangere un poco, implorare questa resa dei sensi
perché possano innevarsi del loro pensiero e sbiancare sino a svanire.
Mi piacerebbe portarti con me, amore, tra le mani accarezzarti le guance, il collo,
inginocchiarmi sul tuo altare, sacrificarti qualsiasi cosa, espropriarmi,
estromettermi da me, svuotarmi intera al tuo atto magnifico, cedere la Creazione
e poi, superarti, per non cadere in nessun compromesso, per immolarmi
verso il vuoto eterno e da lì, guardarti, tra gli angeli, proteggerti
sussurrarti il verbo, la deriva dei mondi, il palinsesto di questa vita; un'astrazione.
E scusami se rimango solo con un piccolo vischio tra le mani, in ricordo, immemore, di te.
Mi vivi, questo è quanto! E se non lo sapessi con l'assoluta certezza di un'anima randagia
capace di trasformare i suoi sassi in alabastri e rose, non ti regalerei
questo mazzo d'amore fasciato di tutto il sangue che posseggo, in nome tuo,
per te, pieno d' illusioni, dei suoi sogni e solo dopo di realtà, solo dopo.
Ora mi apro calda, viva di mare, capace di sfogliarmi e prendere questa solitudine
se la penso in virtù di te, esistente o inesistente che sia, la tua compagnia
mi avvicina a Dio, mi rende l'odore della terra, l'aspro da cui veniamo, la nostra è una condanna
che porta croce e ali, per questo mi sento rondine, il mio è un rimprovero di sospensione,
un pretesto per parlati di questo nulla da cui proveniamo, per sentire ancora e scuotermi.
Di notte penso agli occhi che non ho ancora guardato, che non m'hanno riempita della mia
nudità esposta, estremamente di tutti, per appartenenza inevitabile alla specie.
Ma solo ora capisco che la ricerca non risiede nei luoghi, nelle case della memoria, nei sotterfugi d'arte,
parole, dispense, carta, derive, no, no, è tutto più semplice se si vede con occhi fanciulli;
è risposta, la ricerca è risposta non di domande ma d'intenti, di unisono simultanei, è gioco,
gioco sacro in cui l'amore intercede a renderne il reale, l' impulso necessario, lo slancio.
E che il dolore arretri davanti a tanta bellezza, che s'argini, nel suo stesso fiume.
Alessia D'Errigo
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