PRESENTIAMO CON IMMENSO PIACERE LA NUOVA SILLOGE POETICA DI
GAVINO PUGGIONI
Il leitmotiv,
che ha ispirato Debora Cabboi per la realizzazione del disegno di copertina, è la
poesia
IL BAMBINO CON LA
CHIAVE
L'avevo visto quel bambino
son passati tanti anni ormai
l'avevamo visto noi tutti
quel bambino in compagnia
della sua solitudine
migrare da una terra all'altra
con quella chiave simbolica
nelle sue mani
a voler aprire
a voler dire
a voler urlare
al mondo intero
Apritemi quella porta!
Apritemi quella porta!
dietro di essa
c'è il mio mondo
c'è la mia speranza
quella che mi avete rubato
quella che state uccidendo
quella che io voglio salvare
Apritemi quella porta!
Con me ci sono milioni di bambini
guardateli! ascoltateli!
sono i miei compagni
siamo i vostri figli
in questa vita che tale ancora non è
Apritela! quella porta
la Terra è nostra
vogliamo viverla!
Gavino Puggioni
22 novembre 2012
Una nuova raccolta di poesie di Gavino Puggioni è sempre una sorpresa. I
temi che si rincorrono appaiono a prima vista gli stessi delle sillogi
precedenti: tanti nella quantità, certo, eppure molto “alti” nella qualità.
Andando a scandagliare tra gli interstizi dei suoi versi, il lettore può
rendersi conto, ad un esame più approfondito, che Gavino Puggioni non si ripete
per niente. Così il manifesto poetico della silloge, “Il bambino con la
chiave”, ci riporta alle tematiche che più stanno a cuore all’autore:
l’infanzia, i bambini che osservano con stupore e delusione gli adulti, ma
anche un passato che non c’è più e l’incredulità per il mondo che scivola verso
l’abisso. “Nel silenzio dei rumori” e “Le nuvole non hanno lacrime” sono stati
i due titoli che hanno preceduto “Nelle falesie dell’anima”. E allora la chiave
apre la porta per il mondo rubato, per la speranza sottratta al futuro. Perché
“la Terra è nostra vogliamo viverla”.
Ma i versi di Gavino Puggioni
hanno anche un’altra caratteristica, legata ad un sapiente uso della
punteggiatura, assente per sottolineare lo sgomento per una realtà amara. La
poesia diventa allora una lama sottile che taglia la cute dell’anima, la fa a
pezzi per ricomporla in un secondo momento, sotto le stelle e il cielo della
vita. «Una compagnia di cani randagi ulula la sua fame con la paura», ma gli
umani sono più disperati, perché la loro miseria è interiore e non può trovare
nutrimento. Ma la natura viene in soccorso, con un fiore, che però nasconde un
bambino, che, ecco il risvolto negato in agguato, è piegato, spezzato dalle
intemperie. «Oggi, vento di tramontana, non l’ho visto», ammette il poeta.
Perché la natura stessa è spesso crudele. Disegna colori e pregevoli dipinti ma
poi li spazza via. «E il cielo sopra, azzurro e cupo». Ma c’è la luna, che
ridona speranza, nel buio della notte, con i suoi occhi, gli occhi di un
bambino.
“Nelle falesie dell’anima” è un
passo in avanti. Anche il titolo si fa meno negativo. Perché stavolta c’è il
suono, materialmente palpabile. Nessun silenzio ossimorico dei rumori, nessuna
nuvola senz’acqua o lacrima. E la speranza è lì, a vincere sull’angoscia
quotidiana dell’uomo.
Il titolo racchiude tutto il pensiero filosofico dell’Autore. Non
servono luoghi e spazi di tempo, di come sia giunto a comporre l’attuale
silloge, occorre percorrere le falesie dell’anima, per svelare il senso delle
poesie di Puggioni, è comunque importante conoscere il motivo per cui ha
scritto questi versi, e quali emozioni li hanno dettati. Le falesie sono coste
con pareti rocciose che scendono a picco sul mare. Quelle dell’anima, sono le
poesie che scendono a picco nell’interiorità dei poeti, per riversarsi nel mare
calmo e profondo della scrittura.
L’Autore si è definito “una
maschera dipinta – in una vita mascherata – da emozioni infinite”. Appare
evidente l’input che fa scaturire i versi del Poeta, da addebitare alle
sensazioni che gli affiorano nell’animo. La vita interiore, così intuisco, pare
sia l’unica capace di donargli pienezza di sentimenti, che esterna con vera
maestria, attraverso la liricità dei suoi versi.
Il suo amore incondizionato per
la Terra, questo nostro Pianeta tanto maltrattato, e per l’intera umanità,
soprattutto quella sofferente, strappa al Poeta urla di sconforto, versi di
disperazione che cadono come lacrime sopra i fogli di carta, sui quali verga le
sue composizioni.
Il ricordo del passato, della sua
infanzia felice, gli fa cantare una nenia malinconica e insieme sublime, di
quella vita vissuta accanto ai suoi affetti familiari, ai luoghi che l’hanno
visto bambino. Si accorge che il tempo è implacabile, inflessibile, e che la
vita vissuta ha lasciato una scia di ricordi che, pur facendo parte del
trascorso, ritornano nel presente, come il relitto di una nave, affiorato sulla
superficie del mare tanto amato dal Poeta. I giorni sono colmi di ricordi che
lasciano una sensazione di vuoto apparente, poiché già il ricordo riempie mente
e cuore.
In HO SOTTERRATO PIETRE, chiude
con questi versi: ”Non ho sotterrato la memoria – che veglia su di me – pegno
d’amore – per una vita semplice – dedicata a tutto – piena di niente”. E’ come
se dopo aver vissuto occupandosi di mille cose, l’Autore si fosse accorto che
in fondo non erano così importanti. Non è un po’ così per tutti noi? Il tempo
scorre, e dalla solita umana indifferenza, si ritrova in un pomeriggio in cui
il vento del deserto sibila nel silenzio, un boato del nulla infranto alle porte
dell’infinito.
Scrive, il Poeta, del pomeriggio
di una giornata ventosa, ma anche del meriggio della sua esistenza.. La
parabola discendente della vita, non si può chiamare sera. Non fino a che vive
nel cuore la speranza: speranza in un mondo migliore, della sopravvivenza di
sentimenti colmi di umanità, in un’apoteosi di consapevolezza che vale ancora e
sempre la pena di essere vissuta. Non è sera, fintanto che dietro una porta
chiusa se ne apre un’altra, che si spalanca su nuove meraviglie, poiché la vita
non è sempre triste, perché ci sono ancora musiche infinite da ascoltare, e la
primavera che rifiorisce ancora e sempre.
Puggioni è un poeta amareggiato,
a volte proprio arrabbiato per come gira il mondo, a causa delle guerre, della
fame che dilania i popoli, dei bambini maltrattati, un mondo che diventa sempre
più indifferente ai veri bisogni dell’umanità.
Il Poeta s’identifica, quindi,
come una pallina: “Sono una pietra dura – scalfita – consumata – sbattuta come
una pallina – sempre a rotolar – tra pensieri impervi – viali di una vita – che
scorre e corre lenta – verso la sua meta”. C’è molto realismo in questi versi,
e una sottile rassegnazione, che però spesso scompare, illuminata da un rivolo
di speranza.
L’Autore termina la silloge con
questo lirismo: “…lassù, soli – ci abbraccerà il vento – che spazzerà il male –
dall’universo…e la vita ritornerà”.
Rimane ancora molta positività
dentro gli armoniosi versi dell’Autore, che con occhio attento dipinge la Vita
com’ è realmente, piena di contraddizioni, di bellezza e di fango, ma che
lascia aperta la porta alla Dea Spes, che come tutti sappiamo, se dovesse
proprio morire, sarebbe davvero l’ultima.
Il libro potrà essere ordinato
direttamente all’indirizzo email dell’autore: puggioni.gavino@tiscali.it al costo di euro 13. L’autore sarà felice di inviarvelo, se
lo desiderate, con una dedica personalizzata.
Complimenti, Gavino.
RispondiEliminaMolto bello il titolo di questa silloge.
E la poesia è bellissima!
Tantissimi Auguri!!!
Graziella
Carissimo sono felicissima per te, la poesia che ho letto è bellissima e la silloge avrà sicuramente successo. Complimenti di cuore, un abbraccio e a presto.
RispondiEliminaRoberta
Titolo, poesia e commenti introducono un lavoro poetico sicuramente da leggere e da gustare centellinando i versi. Nell'attesa di poterlo fare i miei più sinceri complimenti.
RispondiEliminaGiovanni De Simone
Bellissima poesia di presentazione e le prefazioni di
RispondiEliminaLuca Foddai e Danila Oppio che danno la conferma della
tua arte di scrivere.
Complimenti,
Un caro saluto da Giuseppe.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaCaro Gavino, se mi ricordi ...sto sull'avventino, consuetudine che mi consente ampio spazio!
RispondiEliminaDel resto... quale peggiore giudizio avventato potrei dare dall'analisi smembrata dell'unica lirica postami sott'occhio per questo tuo nuovo insieme.
Che dire, di primo acchito, non ti smentisci... la via è quella e, del resto, il "Premio Letterario Arborense" in quel tempo seppe già dire di tuo nel merito lirico.
Oggi, distano i giorni, i mesi e gli anni, ma, come dettoti ieri notte telefonicamente, son solo le gambe che al momento ancor non mi sorreggono dopo il brutto incidente occorsomi 3 anni fa; difatti la mente è quella!!!
E' integra, è quella che presumo tu ricordi... conseguentemente:- Non posso che amplificare gli AUGURI che ancora una volta = ti sei meritatamente guadagnato = e, sai bene che te lo dico e lo scrivo di getto così come mi è solito fare... senza tanti giri o fronzoli.
Quando vorrai ... sai dove ritrovarmi!
Per il 28 prossimo venturo in quel di Oristano, mi è difficile... ti ringrazio e, AUGURONI, gli oristanesi per come li ricordo, sapranno essere buoni ascoltatori... anche per come d'improvviso gli ho lasciati.
Caramente come sempre tuo
Acc. Arborense
Giuseppe Pinna de Marrubiu