La terza edizione del Concorso LA VITA IN PROSA organizzato in collaborazione
con puntoacapo Editrice, ha visto la partecipazione di 190 Autori, per un
totale di 357 lavori inviati da tutte le regioni italiane.
La Giuria del Concorso, composta da Adrian Bravi (scrittore), Roberta Lepri
(scrittrice), Mauro Ferrari (poeta, critico, direttore editoriale di puntoacapo
Editrice), Alessandra Paganardi (scrittrice, collaboratrice di riviste
letterarie nazionali), Daniela Raimondi (poeta e scrittrice), Valeria Serofilli
(scrittrice, presidente del Premio Astrolabio), e da Ivano Mugnaini (ideatore e
curatore del Concorso, scrittore, direttore della collana di narrativa
AltreScritture di puntoacapo Editrice), ha valutato i testi inviati, rilevando
anche per questa edizione un livello qualitativo soddisfacente tenendo conto
della grande varietà di stili, generi e temi, a testimonianza di percorsi
personali variegati e interessanti.
La Giuria, che ha valutato i racconti in forma anonima, ha effettuato una prima
selezione, in seguito a cui sono emersi i lavori dei seguenti Autori ritenuti
degni di segnalazione:
Luigi Arena, Martina Barducci, Susanna Barsotti, Bruno Bianco, Monica
Boccaccio, Tiziana Boccaccio, Martina Bono, Luca Boschetti, Maria Vittoria
Boschiero, Antonella Brighi, Loretta Buda, Rosalba Calcagno, Enzo Campi, Marco
Capponi, Davide Castiglione, Letizia Castronai, Maria Gisella Catuogno, Antonio
Cernuschi, Pino Chisari, Alessandro Corsi, Caterina Davinio, Gabriele De Mori,
Lorenzo Falletti, Guillermo Fava, Nicola Gaggelli, Filippo Gatti, Alessia
Gonfloni, Arjan Kallço, Anna Lamarina, Anna Rita Lisco, Ilaria Mainardi,
Matilde Maisto, Monica Martinelli, Roberto Morpurgo, Fabio Muccin, Franca
Oberti, Damiano Pepe, Gavino Puggioni, Maria Sanchez Puyade, Marco Righetti,
Marco Rodi, Massimo Sannelli, Antonella Santoro, Vittorio Sartarelli, Fulvio
Segato, Angela Siciliano, Danila Talamo, Michelina Turri, Giuseppe Vetromile,
Lucia Visconti, Elena Volonterio, Elisabetta Zanasi, Mara Zanetti, Silvia
Zordan, Giuseppina Zupi.
Un’ulteriore cernita ha evidenziato i testi dei seguenti Autori, a cui è stata
attribuita la qualifica di Finalisti:
Maria Vittoria Boschiero, Antonella Brighi, Davide Castiglione, Caterina
Davinio, Lorenzo Falletti, Anna Rita Lisco, Roberto Morpurgo, Maria Sanchez
Puyade, Marco Righetti, Marco Rodi.
Dalla valutazione dei racconti finalisti, è emersa la seguente
classifica:
Racconti VINCITORI :
Primo classificato: Muette , di Roberto Morpurgo
Secondo classificato: Un brillio di smeraldo , di Caterina Davinio
Terzo classificato: Il quaderno dei bottoni , di Anna Rita Lisco
Racconti SEGNALATI EX-AEQUO :
La lettera A , di Maria Vittoria Boschiero
Segmenti , di Antonella Brighi
L’elefantino verde , di Davide Castiglione
Dalla canicola al blu , di Lorenzo Falletti
L’automa , di Maria Sanchez Puyade
La fuga , di Marco Righetti
Fuggo via , di Marco Rodi .
I racconti dei primi tre Autori classificati verranno pubblicati in una
plaquette edita da puntocapo Editrice ed inserita nella Collana AltreScritture
narrativa.
Come da Bando di concorso, puntoacapo Editrice si riserva inoltre di
pubblicare, con regolare contratto di edizione, in volume singolo o nei
Quaderni di Narrativa Contemporanea “Dedalus”, alcune opere degli Autori
partecipanti di particolare interesse e rilevanza.
Il racconto con cui Gavino Puggioni ha partecipato a questo concorso, che è stato ritenuto degno di segnalazione è il seguente:
Metamorfosi
e umana dimensione
-Posso entrare?
-Entra,
entra Almina, non mi disturbi
-Ma
sei sempre alla scrivania, cosa leggi?
-Ho
finito ora di poggiare sguardi,
quasi frantumati da queste notizie di giornali e anche di internet
-Sì, ormai tutto si è rivoltato, non c'è più
niente che possa stare in piedi, forse neanche noi che crediamo di averli
ancora per terra, ancorati ma traballanti.
-Spiegati,
Almi'!
-Sono appena rientrata da un viaggio, un viaggio
di fede, anche di misericordia, se vuoi, visto che era organizzato dalla mia
parrocchia, che frequento poco ma ho un profondo rispetto per questo don Angelo
che mi aveva già convinta a parteciparvi.
-Viaggio
di fede? Tu? E cosa è successo?, non ti sapevo bigotta!..oh!..scusa Almi'!
-Bigotta io? E quando mai? Ho voluto provare, dopo
tantissimi anni, ad essere coinvolta in pensieri e azioni che in me non
crescevano più o se ne erano allontanati.
-E
la prova com'è andata?
-Né bene, né male, però in compenso ho la schiena
scassata da quasi quattrocento chilometri contati in pullman, in una strada
che, a tratti, sembrava d'esser nei dintorni di Kabul, mitragliata e fatta a
pezzi dai Talebani, oppure una di quelle abbandonate a sé stesse e dai nostri operai in rivolta perché non
venivano pagati...che schifo!
-Ma
questo è normale, da noi, lo sai, ma la prova, quella tua, non mi pare tutta
qui.
-Sì, lo so, la prova è stata ardua, faticosa per
la mia mente ormai empirica, priva di ogni elemento ornativo, neppure
romantica.
All'inizio del viaggio ho sofferto un po',
ascoltavo don Angelo che parlava dal suo microfono-altare, mentre non riuscivo
a tirar giù le tendine para-sole e già ero in difficoltà, guardavo e non
vedevo, ascoltavo, ma facevo finta e la mia vicina, magra come un filo d'erba
assolato, sgranava un rosario più pesante di lei.
Don Angelo ci diceva di quel santuario, in cima al
monte di Sonarè, isolato e solo, dove una Santa Madonna era apparsa più di
trecento anni fa e chi vi credeva continuava a raggiungerla almeno una volta
all'anno, come pellegrino, come portatore dei propri peccati, mai compresi e fors’anche mai perdonati.
-Ma
quali peccati? - L'interruppi io, provocandola - ma sei una peccatrice?
-Dalla nascita, amico mio, e credo di non esser la
sola, e dopo, peccati, io, addosso non ne ho e se li ho commessi non ne porto
segno, quindi sono salva!
-Salva
da che e da chi?
-Beh! Intanto sono salva da me stessa, da quei
pregiudizi che anche io potevo
avere e che non ho mai avuto, ed ora mi sento salva da tutto e da tutti, dopo
aver ascoltato don Angelo, la sua parabola ma anche quella dei miei compagni di
viaggio.
-Perché,
questi compagni, cosa hanno detto?
-Niente...di
niente, non una parola, sempre preghiere, parole di ringraziamento e...basta.
Silenzio, una tomba di viventi davanti a quella Madonna di Sonarè.
-E
don Angelo?
-Ah! lui mi piace, è un vero uomo, lo ammiro e, a
volte, penso che questa sua missione religiosa sia sciupata, inutile, non
compresa, avrebbe meritato di più, mi sarebbe piaciuto come dirigente
d'azienda, è anche affascinante nel suo proporsi agli altri.
-Ahi! Ahi! Cos'è? Te ne sei innamorata? Questo sì
che è peccato! - provocazione numero due, la mia.
-Ma quale peccato? E quando mai il pensiero ha fatto peccato? Ma dai, Giva, mi sa che stai correndo un po' troppo, io, i piedi, li ho a
terra!
-Sì,
sì, Almina, ma la testa dove ce l'hai? Non ti avevo sentito ancora parlare così e, in più, di un prete, come don
Angelo.
-La
vuoi smettere adesso o me ne vado in piazza? Così prendo un po' d'aria e mi
rilasso!..
-Va
pure, amica mia, anche se non mi hai detto niente di questa tua nuova o
rinnovata prova!
-Per
forza! Se tu mi fai il terzo grado per delle fesserie che ti racconto! Ecco la prova e ascolta, per favore.
Sì, volevo riprovare a sentire cosa c'è di vero o
nuovo dentro di me, capisci? Dentro la mia anima, dentro il cuore che ha sempre
battuto per altri e, forse, mai per me stessa.
-Non
ti seguo, Almi', spiegati meglio
-Già, voi uomini che non capite, ma continuate a
fare domande, ho voglia di riguardarmi allo specchio, mi sto chiedendo chi sono
e cosa sono, se credo in qualcuno o in qualcosa, oppure no, e mi devo dare
delle risposte e volevo che almeno tu mi aiutassi, tutto qui e senza pensare a
don Angelo.
-Ma
allora lo stavi pensando! Vedi che avevo ragione?
-Ma
che palle che sei, Giva, e smettila! Aiutami, invece, se puoi...
-Sono qui, dimmi, cosa vuoi che ti dica, che sei
una bella donna, che sei ancora attraente, che noi uomini ci giriamo per
ammirarti, che sei senza peccato, che ti piace l'impossibile, cosa vuoi che ti
dica, che sei bona?
-E smettila di dir fesserie, voglio esser guardata
dentro, capisci? Dentro, e solo tu, amico da sempre, mi puoi vedere, senza
meraviglie, senza sensazioni strane, così come sono, come mi conosci da una
vita!
-Ma
proprio a me dovevi porre questo tuo problema?
-Tu
sei unico, anzi l'unico che possa risolverlo!
-Sai cosa ti dico, allora? Che questo compito è
difficilissimo, non ne vedo soluzione, di algebra ho capito sempre poco,
figurati di problemi dell'anima, senza numeri specifici, senza riferimenti,
senza punti cardinali da cui poter partire, per poi, semmai, raggiungerli.
-Ma perché? Ti sembro algebrica, mi prendi per una
bussola? Magari senza l'ago così da sembrare impazzita? No, no Giva, non è
questo...voglio dirti di me, di
questo viaggio che mi ha stravolta, dentro e fuori, se vuoi.
In cima a quella montagna, a Sonarè, è accaduta
qualcosa e non riesco a trovarne il nesso, dentro il santuario ho fatto
compagnia al silenzio degli altri, non sono riuscita a dire una preghiera, ho
guardato a lungo il viso di quella Madonna, non ho visto le luci che davano
colori, mi sembrava di esser sola. Ho pensato a babbo e a mamma che sono là,
nel mondo dei più, mi sono rivista nel giorno della laurea, ero bellissima,
c'era anche Antonello, lo ricordi? Tuo amico e mio fidanzato-ufficiale, anche
lui là, da giovane, con i miei vecchi, ormai. Ho pianto, se vuoi che te lo
confessi, ma nessuno ha visto le mie lacrime, erano trasparenti come le luci e
mi davano fastidio...
-Perché
ti sei fermata? Continua per favore..
-Già, sentivo freddo ma non c'era freddo, sentivo
voci e voci ma c'era silenzio, in mezzo a quegli altari, un leggero brusio di
qualche amen, come di richiesta di aiuto che non arrivava, una voce, per me
lontana, che scandiva parole che non capivo o non volevo capire, un suono,
quella voce...e mi pareva diretta solo a me ma non sapevo di chi era..
-Te lo dico io di chi era quella voce - e la interruppi - era di don Angelo, lo
ascoltavi, lo sapevi ma non riuscivi a dirlo a te stessa perché ne eri e nei sei stregata!
Scusa se te lo dico, e crudamente...ma è così!
Adesso, intorno alla mia scrivania, un silenzio
assoluto, pesante, entrambi a testa in giù, io facevo finta di leggere, lei si
graffiava i jeans con le unghie colorate di marrone e pareva in attesa di non
so cosa.
I capelli, fluenti, ma non lunghi, le coprivano la
fronte e parte degli occhi e di questi non potevo vedere movimento alcuno, le
mani parlavano, questo sì, ma fra di loro, un linguaggio raro, difficile da
penetrare, ché loro non hanno il
moto labiale da cui qualcosa si può rubare.
Aiutavo il silenzio, non volevo disturbarlo. Avevo
di fronte le spalle un po' ricurve di Almina, il pavimento si sentiva ammirato
dai suoi sguardi, vuoti, non lo so, ma di sicuro pensanti; un'anima, gentile,
bella, forse in pena, non grave però, mi dicevo.
Basta! Urlai dentro di me, non ce la faccio più,
voglio rumore, un tamburo, una tromba,...ecco…e in quel momento feci cadere una
biro vicino ai suoi piedi.
-Oh!..Scusa,
mi è scivolata!
Almina sollevò la testa, all'improvviso mi pareva
più bella, mi alzai, mi avvicinai a lei, le misi un braccio sulle spalle, la
guardai negli occhi e le chiesi:
-E
allora, questa prova ha trovato soluzione?
Altro
silenzio.
Posò il suo viso sulla mia spalla, mi feci
prendere dalla commozione ma sentivo anche che lei voleva dirmi qualcosa e non
ci riusciva. E io l'assecondavo, avevo paura di ferirla, di zittirla, come
avevo già fatto prima, dicendole la mia verità. Non lasciava la mia spalla, né
io lasciavo la sua, sembrava cercassimo quel mutuo soccorso che tante vite
umane ha salvato, e noi non avevamo niente da salvare, a parte l'amicizia
profonda e la reciproca stima.
-Almi',
come stai? Ma non parli? Ti si sono incollate le labbra?
I nostri occhi s’incontrarono di nuovo, in un
filamento di luci e ombre che procuravano emozioni, pulsioni anormali in noi
due che di amore non avevamo mai parlato.
E
questa occasione mi sembrava la più adatta, ma solo per lei, non per me che la
pensavo diversamente.
-Giva..lo sai, non sono una ragazzina e sai anche
che ho amato Antonello e quando lui se n'è andato, quel maledetto giorno del
suo onomastico, tu hai sofferto più di me, era tuo fratello di vita e di tutto
ed io mi sentivo tremendamente
sua, la tua presenza ci rassicurava, il nostro amore era perfetto, tu eri il
nostro angelo custode, ci volevi bene, stavamo sempre insieme, mi sentivo donna
e principessa.....oh! Dio mio...scusa
queste mie divagazioni...sono giù....vorrei continuare ma tu non mi
dici...
Almina
si fece prendere da forti emozioni e me ne accorgevo ma preferivo lasciarla in
libertà, ricordi o memoria di tanti anni fa, sipario pian piano aperto su
squarci di vita vissuta, da soli, in compagnia, gli amici di una volta,
rimasti tali, sì, ma con interessi diversi,
matrimonio, figli, viaggi, nascite e dipartite, dolorose, e il tutto buttato in
quel calderone che rimescola le nostre vite, mai parallele perché le stesse
sono formate e segnate da mille e una curva e molte di queste non te le
aspetti, mai.
La guardavo, mi faceva tenerezza e, alla nostra età,
più che matura, ogni sentimento, pur piccolo, assumeva dimensioni enormi, si
gonfiava, si allargava, s’impadroniva delle nostre essenze e a noi pareva quasi
favola, ma d'altri tempi-bambini.
-Almina, dai! Continua se vuoi, fa finta che io
sia la tua cassa di risonanza, silenziosa, registro quel che mi dici ma non
impedirmi di darti risposte, perché quelle te le darò, sempre, anche se dure,
per te!
-Va bene, Giva, ora sto meglio, la tua vicinanza
mi da sicurezza, -- e lo disse con un fil
di voce e la capivo – ma non so più cosa dirti....
Un'altra lunga pausa, o breve? non ricordo, ma non
riuscivo a darmi quella dimensione umana che, da amico, le avevo regalato,
senza nulla chiedere, se non una maggiore e naturale stima nei miei confronti.
Ecco,
forse, ma stava per aprire bocca, ero in attesa.
-Sai – e s'abbracciava da sola, un sorriso velato
ma evidente – non so come dirtelo...ma non so nemmeno se l'amore esista ancora, quello con la A
maiuscola..
-Sì, sì che esiste, almeno me lo auguro, per gli
altri. Noi due...io non sono più a quell'altezza, l'età, la solitudine, lo
scrivere, parlare, anche di cose inutili, girare a vuoto, pensare ad un
paesaggio appena visto, tutto
questo mi ha fatto arrivare fin qui e questa scrivania ne è testimone. Di quell'amore, amica
mia, non so più niente e quasi me ne vergogno, anche se dopo m’accorgo di non
essere così vecchio!...
-No, Giva, no, non sei vecchio, sei come me, siamo
rimasti sempre giovani, non vedi? E questo incontro ce lo sta dimostrando...don
Angelo...ecco, sono arrivata al punto…
-Di
partenza o di arrivo? - le chiesi,
maldestro.
-Non
lo so, caro mio, non lo so, ci sto pensando e me ne sto già pentendo!
-Te
ne stai pentendo? E di cosa? - ero
davvero perplesso
Giva!..Ero e sono
innamorata di don Angelo...questa è la risposta a quella prova a cui ho voluto
sottopormi!
Non
chiedermi del come, del quando, del perché, non lo so e non lo
voglio sapere…
Un silenzio rumoroso, un boato mai udito dentro di
me, un cuore che andava a mille, la stessa pressione arteriosa a stantuffo,
pesante, veloce, pareva mi trovassi in un precipizio, ma senza fine, un vortice
di sensazioni, aggressivo, caldo, freddo, da capogiro.
Chiusi gli occhi un istante, un'eternità, e dopo
per riaprirli e vedere quelli di Almina, allagati di lacrime, vere, - mi dicevo
– e anche sincere o così mi stavano apparendo.
-Almina,
perché tutto questo? Perché i tuoi occhi,
perché il tuo cuore si è
posato su quell'uomo? Perché?
Non
ce n'erano altri? Perché proprio lui, un uomo di chiesa?
-Non lo so – mi rispose dura e aggiunse ancora: so
che era ed è un uomo...ma me ne sono pentita, ma non per lui, per me che ero e
sono sola, mi hanno abbandonato anche gli altri sentimenti, non li trovo,
vorrei il mondo tra le braccia e io sono diventata polvere in balia di venti
strani,..ma forse ti sono lontana, è la prima volta che parlo con te di queste
cose mie e intime, che nemmeno in un confessionale si possono dire. A te le sto
dicendo perché tu, per me, sei unico e lo sai, fin da bambini, in quei nostri
cortili fioriti e adiacenti,
sempre vicini, come pure le nostre famiglie
-Già, è così!... - Quasi un sibilo, un refolo
d'aria, tre parole buttate lì, in una tristezza piombataci addosso, come trave
priva di sostegni. Vedevo tanti
kleenex tra le dita di Almina, candidi e umidi, sfuggire alla presa, cadere, essere raccolti, portati al naso, per davvero
o per finta, non riuscivo a intuirlo, ma sentivo insostenibile la situazione,
volevo esserne escluso, non volevo ascoltare, ma vi ero immerso fino al collo,
avevo sentito il mio respiro corto, affannato, accesi una sigaretta, la prese
anche lei, in quel silenzio quasi sacro, i nostri sguardi altrove, senza luce.
Il
mio cellulare squillava, lo zittii
mentre lei mi osservava.
-Senti,
Almina, cosa decidi, cosa vuol fare il tuo cuoricino ferito? Vuole
guarire o vuole ammalarsi di più?
-Non lo so, dimmelo tu, solo tu, ora, puoi
aiutarmi, Giva, di te mi fido e anche lui, parlami, scuotimi, dimmi che
sbaglio, dimmi che ho ragione, dimmi quello che vuoi, ma dimmelo, non farmi
aspettare, sono le dieci di sera, sono stanca, voglio andarmene a dormire...
Altra eternità in silenzio, anch'io ero stanco ma
a quella donna volevo bene, un bene pulito, mai macchiato da sottintese
alchimie, semmai profumato, da sempre, da tutta la nostra vera e sincera
amicizia, affettuosa, senza una minima sbavatura che potesse essere fraintesa
con altro e in tutto questo io credevo.
Cosa dovevo dirle? Pensavo, cercavo parole, una frase, niente. All'improvviso,
un faro illuminato e non a luci alterne, respirai profondo e le dissi:
-Sbagli! Sì, mi dispiace, stai sbagliando!
Gelo
nel mio studiolo, zero gradi di temperatura, aria rarefatta, occhi nella
nebbia, fitta fitta, da tagliare a fette.
Il viso di Almina tirato, le labbra contratte, una
smorfia nascosta, i pugni chiusi, incollati ai fianchi, quasi in un “at-tenti”
militaresco. Confesso, provai dolore, mi si contrasse lo stomaco, l'amaro più
amaro mi scivolò in bocca, la gola asciutta come un legnetto essiccato dal
solleone, non sentivo me stesso, mentre Almina se ne andava, chiudendo
dolcemente la porta.
Non
un saluto, non una parola, solo un...nulla.
Erano già passate un paio di settimane e di Almina
niente avevo saputo o chiesto, lei non era più venuta da me né io da lei. Me ne
stavo preoccupando, dovevo sapere.
Quella domenica, di buon mattino, andai in chiesa,
quella sua, che frequentava raramente. C'era la Messa, aspettai che finisse,
entrai in sacrestia, c'era un diacono, non giovane.
-Vorrei
vedere don Angelo, gli devo parlare
- gli dissi .
-Don Angelo? Ma è partito la settimana scorsa, dal
vescovo è stato trasferito in Abruzzo, non ricordo in quale paese!..
-Ah!..Grazie,
molto gentile, arrivederci!
Decisi di chiamare Almina al cellulare che
squillava e squillava, senza risposta. Ripetei il numero decine di volte,
niente. Comprai una pizza, a casa la divorai, avevo una fame incredibile, ne
avrei mangiata un'altra.
Riprogrammai
quel numero, erano le 14.
-Si,
sono a casa, cosa è successo? - Mi rispose, la voce fredda di Almina
-Niente,
volevo salutarti, come stai?
-Benissimo
Giva, dove sei?
-A
casa, ho appena finito di trangugiare una pizza.
-Ci
possiamo vedere da te?
-Quando
vuoi, sono qui, ti aspetto.
Mi affondai in poltrona ma più che altro in
pensieri ed uno di questi mi martellava il cervello , cosa avrei detto ad Almina di
don Angelo e del suo trasferimento?
Ero in seria difficoltà, lo giuro, e quella donna,
amica vera da una vita, ora mi stava preoccupando e anche occupando gran parte
del mio daffare. Desideravo che arrivasse ma anche il contrario, stavo facendo
fatica a capirmi. Ecco! Il campanello, era arrivata.
Eccola, davanti a me, il suo sorriso, la sua
allegria, da lungo tempo assente, gli occhi splendidi, ma cosa mai sarà
successo?
-
E don Angelo? - azzardai la domanda
-
Non c'è più, è partito e non so dove.
Ci trovammo abbracciati l'uno all'altra, così,
spontaneamente, parlando di non so cosa, non capivo nulla, sentivo il suo corpo
addosso al mio, tremavo e continuavo a non capire.
I
nostri occhi s’incontrarono, un attimo, e poi sentii le sue labbra sulle mie,
appassionate e dolci, in un bacio che solo d'amore doveva essere.
Gavino
Puggioni
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