ANTONIA POZZI (Milano 1912-1938)
Le foto cambiano ogni qualche secondo |
Quando Antonia Pozzi nasce è
martedì 13
febbraio 1912: bionda,
minuta, delicatissima, tanto da rischiare di non farcela a durare sulla scena
del mondo; ma la vita ha le sue rivincite e … … Antonia cresce: è una bella bambina, come la
ritraggono molte fotografie, dalle quali sembra trasudare tutto l’amore e la
gioia dei genitori, l’avvocato Roberto Pozzi, originario di Laveno, e la contessa Lina, figlia del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana e di Maria Gramignola,
proprietari di una vasta tenuta terriera, detta La Zelata, a, Bereguardo. Il 3
marzo la piccola viene battezzata in San Babila ed eredita il nome del nonno,
primo di una serie di nomi parentali (Rosa, Elisa, Maria,Giovanna, Emma), che
indicherà per sempre la sua identità. Antonia cresce, dunque, in un ambiente
colto e raffinato: il padre avvocato, già noto a Milano; la madre, educata nel
Collegio Bianconi di Monza, conosce bene il francese e l’inglese e legge molto,
soprattutto autori stranieri, suona il pianoforte e ama la musica classica,
frequenta la Scala, dove poi la seguirà anche Antonia; ha mani particolarmente
abili al disegno e al ricamo. Il nonno Antonio è persona coltissima, storico noto e apprezzato del
Pavese, amante dell’arte, versato nel disegno e nell’acquerello. La nonna, Maria, vivacissima e sensibilissima, figlia
di Elisa Grossi, a sua volta figlia del più famoso Tommaso, che Antonia chiamerà “Nena” e con la quale avrà fin da
bambina un rapporto di tenerissimo affetto e di profonda intesa. Bisogna, poi,
aggiungere la zia
Ida, sorella del
padre, maestra, che sarà la compagna di Antonia in molti suoi viaggi; le tre
zie materne, presso le quali Antonia trascorrerà brevi periodi di vacanza tra
l’infanzia e la prima adolescenza; la nonna paterna, Rosa, anch’essa maestra,
che muore però quando Antonia è ancora bambina.Nel 1917 inizia per Antonia
l’esperienza scolastica:
l’assenza, tra i documenti, della pagella della prima elementare, fa supporre
che la bimba frequenti come uditrice, non avendo ancora compiuto i sei anni, la
scuola delle Suore Marcelline, di Piazzale Tommaseo, o venga preparata
privatamente per essere poi ammessa alla seconda classe nella stessa scuola,
come attesta la pagella; dalla terza elementare, invece, fino alla quinta
frequenta una scuola statale di Via Ruffini. Si trova, così, nel 1922, non
ancora undicenne, ad affrontare il ginnasio, presso ilLiceo-ginnasio “Manzoni”, da dove, nel 1930, esce diplomata per avventurarsi negli studi universitari, alla Statale di
Milano.
Gli anni del liceo segnano per sempre la vita di
Antonia: in questi anni stringe intense e profonde relazioni amicali con Lucia Bozzi ed Elvira Gandini, le sorelle elettive, già in terza liceo quando lei si affaccia
alla prima; incomincia
a dedicarsi con assiduità alla poesia, ma, soprattutto, fa l’esperienza esaltante e al tempo stesso
dolorosa dell’amore. È il 1927:
Antonia frequenta la prima liceo ed è subito affascinata dal professore di greco e latino, Antonio
Maria Cervi; non dal
suo aspetto fisico, ché nulla ha di appariscente, ma dalla cultura eccezionale,
dalla passione con cui insegna, dalla moralità che traspare dalle sue parole e
dai suoi atti, dalla dedizione con cui segue i suoi allievi, per i quali non
risparmia tempo ed ai quali elargisce libri perché possano ampliare e
approfondire la loro cultura. La giovanissima allieva non fatica a scoprire
dietro l’ardore e la serietà, nonché la severità del docente, molte affinità:
l’amore per il sapere, per l’arte, per la cultura, per la poesia, per il bello,
per il bene, è il suo stesso ideale; inoltre il professore, ha qualcosa negli
occhi che parla di dolore profondo, anche se cerca di nasconderlo, e Antonia ha
un animo troppo sensibile per non coglierlo: il fascino diventa ben presto
amore e sarà un amore tanto intenso quanto tragico, perché ostacolato con tutti
i mezzi dal padre e che vedrà la rinuncia alla “vita sognata” nel 1933, “non secondo il cuore, ma secondo il
bene”, scriverà Antonia, riferendosi ad essa. In realtà questo amore resterà
incancellabile dalla sua anima anche quando, forse per colmare il terribile
vuoto, si illuderà di altri amori, di altri progetti , nella sua breve e
tormentata vita.
Nel 1930 Antonia entra all’Università nella facoltà di lettere e filosofia; vi trova maestri illustri e nuove grandi amicizie: Vittorio Sereni, Remo Cantoni, Dino Formaggio, per citarne alcune; frequentando il Corso di Estetica, tenuto da Antonio Banfi, decide di laurearsi con lui e prepara la tesi sulla formazione letteraria di Flaubert, laureandosi con lode il 19 novembre 1935. In tutti questi anni di liceo e di università Antonia sembra condurre una vita normalissima, almeno per una giovane come lei, di rango alto-borghese, colta, piena di curiosità intelligente, desta ad ogni emozione che il bello o il tragico o l’umile suscitano nel suo spirito:l’amore per la montagna, coltivato fin dal 1918, quando ha incominciato a trascorrere le vacanze a Pasturo, paesino ai piedi della Grigna, la conduce spesso sulle rocce alpine, dove si avventura in molte passeggiate e anche in qualche scalata, vivendo esperienze intensissime, che si traducono in poesia o in pagine di prosa che mettono i brividi, per lo splendore della narrazione e delle immagini; nel 1931 è in Inghilterra, ufficialmente per apprendere bene l’inglese, mentre, vi è stata quasi costretta dal padre, che intendeva così allontanarla da Cervi; nel 1934 compie una crociera, visitando la Sicilia, la Grecia, l’Africa mediterranea e scoprendo, così, da vicino, quel mondo di civiltà tanto amato e studiato dal suo professore e il mondo ancora non condizionato dalla civiltà europea, dove la primitività fa rima, per lei, con umanità; fra il 1935 e il 1937 è in Austria e in Germania, per approfondire la conoscenza della lingua e della letteratura tedesca, che ha imparato ad amare all’Università, seguendo le lezioni di Vincenzo Errante, lingua che tanto l’affascina e che la porta a tradurre in italiano alcuni capitoli di “Lampioon”, di M. Hausmann. Intanto è divenuta “maestra” in fotografia: non tanto per un desiderio di apprenderne la tecnica, aridamente, quanto perché le cose, le persone, la natura hanno un loro sentimento nascosto che l’obiettivo deve cercare di cogliere, per dar loro quell’eternità che la realtà effimera del tempo non lascia neppure intravedere. Si vanno così componendo i suoi album, vere pagine di poesia in immagini. Questa normalità, si diceva, è, però, solamente parvenza. In realtà Antonia Pozzi vive dentro di sé un incessante dramma esistenziale, che nessuna attività riesce a placare: né l’insegnamento presso l’Istituto Tecnico Schiaparelli, iniziato nel ‘37 e ripreso nel ’38; né l’impegno sociale a favore dei poveri, in compagnia dell’amica Lucia; né il progetto di un romanzo sulla storia della Lombardia a partire dalla seconda metà dell’Ottocento; né la poesia, che rimane, con la fotografia, il luogo più vero della sua vocazione artistica. La mancanza di una fede, rispetto alla quale Antonia, pur avendo uno spirito profondamente religioso, rimase sempre sulla soglia, contribuisce all’epilogo: è il 3 dicembre del 1938.
Nel 1930 Antonia entra all’Università nella facoltà di lettere e filosofia; vi trova maestri illustri e nuove grandi amicizie: Vittorio Sereni, Remo Cantoni, Dino Formaggio, per citarne alcune; frequentando il Corso di Estetica, tenuto da Antonio Banfi, decide di laurearsi con lui e prepara la tesi sulla formazione letteraria di Flaubert, laureandosi con lode il 19 novembre 1935. In tutti questi anni di liceo e di università Antonia sembra condurre una vita normalissima, almeno per una giovane come lei, di rango alto-borghese, colta, piena di curiosità intelligente, desta ad ogni emozione che il bello o il tragico o l’umile suscitano nel suo spirito:l’amore per la montagna, coltivato fin dal 1918, quando ha incominciato a trascorrere le vacanze a Pasturo, paesino ai piedi della Grigna, la conduce spesso sulle rocce alpine, dove si avventura in molte passeggiate e anche in qualche scalata, vivendo esperienze intensissime, che si traducono in poesia o in pagine di prosa che mettono i brividi, per lo splendore della narrazione e delle immagini; nel 1931 è in Inghilterra, ufficialmente per apprendere bene l’inglese, mentre, vi è stata quasi costretta dal padre, che intendeva così allontanarla da Cervi; nel 1934 compie una crociera, visitando la Sicilia, la Grecia, l’Africa mediterranea e scoprendo, così, da vicino, quel mondo di civiltà tanto amato e studiato dal suo professore e il mondo ancora non condizionato dalla civiltà europea, dove la primitività fa rima, per lei, con umanità; fra il 1935 e il 1937 è in Austria e in Germania, per approfondire la conoscenza della lingua e della letteratura tedesca, che ha imparato ad amare all’Università, seguendo le lezioni di Vincenzo Errante, lingua che tanto l’affascina e che la porta a tradurre in italiano alcuni capitoli di “Lampioon”, di M. Hausmann. Intanto è divenuta “maestra” in fotografia: non tanto per un desiderio di apprenderne la tecnica, aridamente, quanto perché le cose, le persone, la natura hanno un loro sentimento nascosto che l’obiettivo deve cercare di cogliere, per dar loro quell’eternità che la realtà effimera del tempo non lascia neppure intravedere. Si vanno così componendo i suoi album, vere pagine di poesia in immagini. Questa normalità, si diceva, è, però, solamente parvenza. In realtà Antonia Pozzi vive dentro di sé un incessante dramma esistenziale, che nessuna attività riesce a placare: né l’insegnamento presso l’Istituto Tecnico Schiaparelli, iniziato nel ‘37 e ripreso nel ’38; né l’impegno sociale a favore dei poveri, in compagnia dell’amica Lucia; né il progetto di un romanzo sulla storia della Lombardia a partire dalla seconda metà dell’Ottocento; né la poesia, che rimane, con la fotografia, il luogo più vero della sua vocazione artistica. La mancanza di una fede, rispetto alla quale Antonia, pur avendo uno spirito profondamente religioso, rimase sempre sulla soglia, contribuisce all’epilogo: è il 3 dicembre del 1938.
Lo sguardo di Antonia Pozzi, che si era
allargato quasi all’infinito, per cogliere l’essenza del mondo e
della vita, si spegne per sempre mentre cala la notte con le sue ombre
viola.
Onorina Dino
Biografia tratta da Antonia Pozzi. Nelle immagini l’anima:
antologia fotografica,
a cura di Ludovica Pellegatta e Onorina Dino, Ancora, Milano 2007
a cura di Ludovica Pellegatta e Onorina Dino, Ancora, Milano 2007
È sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo: il
monumento funebre, un Cristo in bronzo, è opera
dello scultore Giannino Castiglioni.
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