Chiamami ch'è lungo il mio
disincanto, le braccia tese e
in caduta
reverenza delle mie danze che
salpano nel cielo, così
vergine da imbiancare
ogni stanza, la mia
autosufficienza, ora, implora la pecca
del tuo palato,
non un abbandono di foglie,
non un ceppo di fuoco, ma
schiena piegata,
schiena dipinta a uovo, mio
avvenire privato di cui
sfondi la porta, mia
chiave, vieni a me, in
serratura e silenzio, vieni, senza
riserve, addormentato
nel mio utero. Rinascere uomo
e figlio, madre e
madonna, nudi, trasalire di
nuovo, al mondo.
Alessia D'Errigo
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