Quello che è avvenuto in Sardegna, il 18 e 19 di
novembre, non è un fulmine a ciel sereno, Cleopatra ci aveva anche avvisato, ma
dicono in ritardo!..mah!
I
temporali, così li chiamavamo noi, hanno cambiato “faccia”, sono diventati più
violenti, più imprevedibili e loro, sì, che si sono globalizzati ed ora hanno
anche un nome!
Eravamo
abituati al vento di ghiblì che ci portava direttamente, e secondo natura, la
sabbia dal deserto africano e la mattina successiva, con qualche incazzatura,
in fila dal primo lavaggista a spendere soldini non previsti.
Eravamo
abituati quasi a tutto, anche alla neve, gioie e dolori; ci eravamo abituati
(ma lo siamo ancora, ahi noi!) alle esalazioni, alle contaminazioni e ai veleni
delle industrie petrolchimiche, ora moribonde e in putrefazione; eravamo
abituati alle altre disgrazie comuni, agli incidenti mortali, agli allagamenti
innaturali, una tantum, agli incendi dei boschi, sempre d'estate, o di terre
incolte;
eravamo
e siamo ancora abituati, soprattutto, alla cattiva (sic!) politica e, allora,
voglio dire che proprio da questa è derivato e sta derivando il dissesto
idrogeologico della nostra isola.
La
Regione Autonoma Sardegna ha favorito, da sempre, l'insediamento di grandi
imprese nazionali e non, sommergendole di profumato denaro pubblico ma badando
a stipendiare miseramente i loro dipendenti, mentre si andava avvelenando quel
suolo e per l'eternità. Favorendo anche grandi infrastrutture alberghiere, che,
almeno quelle, un po' di lire-dollari-euro li hanno portati, seppure per pochi.
Quel
che voglio dire è che, in nome e per conto di una crescita umana e civile,
eravamo solo pastori e contadini. In Sardegna è avvenuta e avverrà la
decrescita e, prima fra tutte, quella ambientale, del territorio comune,
proprio perché non si è rispettato l'ambiente e la peculiarità del suo insieme.
E
il risultato è quello di oggi, con
16 vittime innocenti, immolate in quel progresso che molti di noi non
avremmo voluto vivere, condividere e subire.
Non
solo vittime, cadaveri strapazzati dalla violenza naturale, (oh! quei bambini,
quelle mamme, quelle nonne e quei nonni, quei nostri fratelli, vissuti per
nulla!) ma danni materiali incalcolabili a case, aziende e viabilità, un
tutt'uno che il Vescovo Sanguinetti ha definito, nella sua omelia, cataclisma,
catastrofe, voluti dall'uomo che ha violato la Natura, quella stessa che gli
aveva dato vita e un apparente felicità.
Hanno
voluto, i politici amministratori, per una manciata di voti, che si potesse
costruire dappertutto, vicino al mare, nell'ansa di un letto di fiume o corso
d'acqua, sotto una collina franosa, favorendo questa o quella impresa,
traendone benefici personali anche a lunga scadenza, pur di vedere, dall'alto e
dal basso, ville, villette, piscine e quant'altro, per realizzare sogni di
cemento a dispetto di ogni filo d'erba o di un fiore che, altrimenti, vi
sarebbe nato.
Tristissima
sorte, di questa nostra isola, una volta granaio d'Italia e divenuta, da una
trentina d'anni a questa parte, preda ambita di quei famosi palazzinari che
avevano già deturpato mezza nazione, nelle grandi città del nostro stivale
geografico, coi loro grattacieli e periferici rioni di case fatiscenti, una
addossata all'altra, abitabili e basta, emblema di un epoca dove gli stessi
politici di allora hanno costruito le loro carriere politico- parlamentari e
pare che ancora non vogliano smettere.
Il
dramma va ricercato anche nell'ignoranza e nel non rispetto di quella Natura
che qualcuno ci ha regalato e noi non ne abbiamo saputo apprezzare il valore,
intimo ed universale.
Credo,
penso e mi auguro che il Governo della nostra Regione abbia a prendere seri
provvedimenti, efficaci da subito, per quanto riguarda il piano regolatore
territoriale, e per le coste e all'interno stesso dell'isola, diversamente
finiremo tutti nelle maglie a trama stretta di quei signori miliardari,
orientali, dall'Asia verso l'Europa, sceicchi e gran visir che trasformeranno
la Sardegna in una novella Manhattan, coi suoi campi da golf, con gli
alberghi a dieci stelle, coi loro harem, tenendo ben lontani, però,
pecore, capre, vacche e cinghiali incazzati.
Gavino Puggioni
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