Le voci si rincorrevano da mesi ma io non volevo crederci, volevo toccare con mano e vedere coi miei occhi. L'ho fatto alcuni giorni fa e me ne son reso conto.
Questo ormai storico giornale quindicinale ha deciso di scendere gli scalini per andare in...cantina, con la speranza che stia al fresco, compatibile coi suoi contenuti che qualcuno dovrebbe riportare in primo piano, volevo dire al primo piano, quello della visibilità.
Già, “scripta manent” ed è quello che vorrei rimanesse, ma non solo io, quegli articoli, quelle ballate spiritose e quelle interviste impossibili, quei resoconti politici anche se noiosi ma necessari,
quelle figure che apparivano e dopo scomparivano, quel disquisire onestamente, e con capacità intellettuali, di spettacolo e di cultura e di musica e di teatro, di romanzi, anche di poesia, addiritura!
Non li leggerò più? Mi auguro di no perché penso, dispiaciuto, che qualcuno debba e possa avere la volontà di far rivivere Il Sassarese che, da quasi quarant'anni, puntuale, andava nelle edicole e anche in qualche libreria, regalandoci momenti di sana lettura senza dover ricorrere a polemiche o a improvvisate elucubrazioni mentali.
Era, ma penso che sia, una rivista semplice e colta, rispettosa di tutti perché di tutti accoglieva il pensiero, rosso, bianco, verde o bluastro che fosse.
Sassari perderà un altro pezzo della sua storia giornalistica, piccola se vogliamo, ma importante ed adulta, vista l'età quasi veneranda per una pubblicazione nata e cresciuta fino ad ieri nelle nostre mani, sotto i nostri occhi, di lettori sardi e anche non.
Un augurio e un caro saluto a chi, e sono tanti, de Il Sassarese aveva fatto un punto di riferimento
culturale dedicato alla nostra città.
Gavino Puggioni
ULTIMA
PUNTATA
cala il sipario
Che cosa vi
sareste aspettati, un fazzoletto intriso di lacrime,un commiato di acciaio
inossidabile, un girotondo di, purtroppo, peccato, è andata così, pazienza… E
invece ho in mente di dirvi che il mio giornale, fondato nel 1973, si congeda
da voi con quel tanto di scriteriata (ma non palese) baldanza che ha
caratterizzato l’intero suo percorso. Naturalmente lo scriteriato sono io. Sì,
perché, quale altro periodico sardo ha saputo resistere circa quarant’anni in
edicola, se si eccettua quel tanto criticato (e temuto) “Sassari Sera” di Pino
Careddu. Venuto a mancare Pino, fine del suo giornale. Io ancora ci sono ma il
mio giornale, dopo questa edizione, non ci sarà più. È come minimo strano che
un “figlio” se ne vada prima del “padre”. Volete sapere le ragioni? Potrei
tacerle tanto, alla fin fine, a pochi possono interessare. Perché quando un
negozio abbassa le serrande, specie in questo periodo di crisi, nessuno ne
parla mentre se un giornale cessa le pubblicazioni nessuno se ne accorge?
L’impresa è impresa, può andar bene, può andare male. Il Sassarese non sempre
se l’è passata male. Ha conosciuto momenti di meritata serenità economica e
tanti altri periodi di… montagne russe. Dal 2009, da quando cioè la redazione è
stata spostata da via Carlo Alberto 27 a via Roma 48, le cose hanno cominciato
a precipitare. Molti dei presunti amici di importanti imprese hanno negato la
pubblicità al giornale e così hanno fatto molte istituzioni che pur avendo in
bilancio la pubblicità istituzionale hanno bellamente ignorato Il Sassarese. Si
badi bene, non si cada nella trappola della crisi economica che attanaglia il
nostro Territorio. Le istituzioni non sono in crisi visto che si pubblicizzano
sulle pagine dei maggiori quotidiani e sulle televisioni e sulle radio. Molti
cosiddetti responsabili di certe istituzioni hanno bellamente ignorato le
nostre richieste e non se sappiamo il perché. Quando alla Regione sedeva Renato
Soru ci fu una vera e propria rivoluzione legata alla pubblicità istituzionale.
Lui disse che l’aveva abolita. Nulla di più falso. Abolita sì, ma solo per
certa stampa periodica (tipo Il Sassarese) ma non certo per gli altri organi di
stampa non citati più sopra. In tempi lontani, agli albori della mia avventura
editoriale il giornale si reggeva soprattutto sulla pubblicità del settore
mercantile sassarese e isolano in generale. Erano altri tempi e un giornale
come questo riscuoteva la fiducia dei commercianti. Ma arrivava anche
pubblicità dal Continente tramite agenzie che contattavano la nostra redazione.
Col tempo la cosiddetta piccola inserzione è venuta meno. I nostri
procacciatori pubblicitari avevano perso l’entusiasmo e avevano scelto di fare
altro. È stato allora che la nostra redazione si è impegnata sul fronte istituzionale
visto che da quelle parti esisteva (come ancora esiste) nel bilancio la voce
“pubblicità istituzionale”. Non sempre si riusciva ad ottenere ciò che si
sperava ma la pubblicità arrivava. Poi è calato il sipario. Le istituzioni non
rispondevano e quando qualcuno aveva il garbo di farlo diceva che i fondi erano
finiti. Ma intanto su altri organi di stampa la pubblicità istituzionale
continuava.
Ecco, cari lettori, perché racconto tutto questo? Per dirmi vittima di certi individui che sanno sempre dove parare? No di certo. Lo faccio perché in questi ultimi mesi la voce che Il Sassarese stesse per chiudere si era diffusa e molte sono state le persone che se ne sono dette rammaricate. Beh, non credo a nessuno. O meglio, non credo a tutti. Questa volta il detto “morto un papa se ne fa un altro” non funziona. La stampa periodica isolana è arrivata ultima al traguardo. In effetti in tutti questi anni non mi ero prefisso alcun traguardo. Andavo avanti seguendo l’onda della raccolta pubblicitaria e spesso più che onda erano cavalloni che nemmeno il più esperto dei “nuotatori” riusciva a cavalcare. Quindi, ultima puntata. Che cosa rimane di un’esperienza editoriale di circa quarant’anni e di un’esperienza professionale che di anni ne conta oltre cinquantacinque? Credo ancora il fuoco della passione. Quel dire ciò che si sente senza guardare in faccia nessuno. Senza avere scheletri nell’armadio. Senza pentimenti in ritardo. Senza analisi che non rispondano a quel credo che ha animato tanti anni di lavoro.
E ritorno alla passione: ho sempre voluto fare il giornalista fin da quando avevo i calzoni corti e ci sono riuscito proprio in virtù della passione che non ha mai però sfiorato il fanatismo, l’accanimento intellettuale, la fissazione mentale, l’atteggiamento divistico che, al contrario, è riscontrabile in molti colleghi giornalisti direttori e meno. Un atteggiamento semplice e allo stesso tempo civile e rispettoso degli altri.
Ecco, cari lettori, perché racconto tutto questo? Per dirmi vittima di certi individui che sanno sempre dove parare? No di certo. Lo faccio perché in questi ultimi mesi la voce che Il Sassarese stesse per chiudere si era diffusa e molte sono state le persone che se ne sono dette rammaricate. Beh, non credo a nessuno. O meglio, non credo a tutti. Questa volta il detto “morto un papa se ne fa un altro” non funziona. La stampa periodica isolana è arrivata ultima al traguardo. In effetti in tutti questi anni non mi ero prefisso alcun traguardo. Andavo avanti seguendo l’onda della raccolta pubblicitaria e spesso più che onda erano cavalloni che nemmeno il più esperto dei “nuotatori” riusciva a cavalcare. Quindi, ultima puntata. Che cosa rimane di un’esperienza editoriale di circa quarant’anni e di un’esperienza professionale che di anni ne conta oltre cinquantacinque? Credo ancora il fuoco della passione. Quel dire ciò che si sente senza guardare in faccia nessuno. Senza avere scheletri nell’armadio. Senza pentimenti in ritardo. Senza analisi che non rispondano a quel credo che ha animato tanti anni di lavoro.
E ritorno alla passione: ho sempre voluto fare il giornalista fin da quando avevo i calzoni corti e ci sono riuscito proprio in virtù della passione che non ha mai però sfiorato il fanatismo, l’accanimento intellettuale, la fissazione mentale, l’atteggiamento divistico che, al contrario, è riscontrabile in molti colleghi giornalisti direttori e meno. Un atteggiamento semplice e allo stesso tempo civile e rispettoso degli altri.
Bambole,
non c'e' una lira
Facendo qualche
battuta m’è capitato talvolta di dire che il giornalista non è dissimile da un
artigiano, un operatore ecologico, un medico di famiglia. Sono solo professioni
ma se non le si esercita con passione non valgono nulla. Molti vedono i
giornalisti come esseri superiori, privilegiati, quasi dei divi. Nulla di più
falso. Quella del giornalista deve (e scrivo deve) essere una professione al
servizio degli altri e non di se stessi. Non ci si può gonfiare, riempirsi di
se stessi solo perché si ha in mano una penna (oggi il computer). Raccontare i
fatti come avvengono senza aggiungere nulla che non si sia toccato con mano.
Sono stati questi gli insegnamenti che mi hanno elargito i miei maestri con
grande generosità. E qui mi è piacevole ricordare con orgoglio qualcuno di
essi: Roberto Stefanelli, Giovannino Pisano, Vindice Ribichesu, Antonio Pinna,
Eliseo Sirigu, Aldo Cesaraccio. I miei primi passi alla “Nuova Sardegna” sono
stati mossi grazie alla disponibilità e all’esperienza di questi signori. Con
maestri di questo calibro potevo mai fare un giornale che non li rispettasse? A
quei tempi in giornalismo si entrava per vera passione, per effettiva
disponibilità al dialogo e al rispetto dei lettori. Oggi molti di quei valori
sono venuti meno perché molti di quei miei maestri non ci sono più. E quando
non c’è una guida è facile perdersi nel sentiero di montagna.
Mentre scrivo questi modesti pensieri mi viene in mente lo stato attuale del mondo dell’editoria, dell’informazione, della stampa in generale. Si parla di imminente scomparsa della carta stampata, oggi c’è internet e tutte quelle diavolerie che ti fanno vivere la notizia in tempo reale. Nutro qualche dubbio sulla scomparsa dei giornali stampati. Ma forse ha ragione quel giovane mio collaboratore che mi dice che devo aggiornarmi, che devo passare alle nuove tecnologie. Ho una mia idea: più si va avanti con la tecnologia più l’essere umano si allontana dall’essere umano. Infatti, che cosa vuol dire che internet avvicina la gente? Con un sms ti dici ciao, come stai, come va, quando ci vediamo. Tu stai da questa parte del globo e il tuo interlocutore dall’altra. Che vicinanza è mai questa? Cosa diversa è passeggiare in via Roma e scansare le persone e a volte anche andarci sopra o camminando trovare l’amico di una volta, un vecchio amore della giovinezza che finge di non vederti per massimo pudore, scansare un cane o un passeggino. Altro che l’arido sms. E vabbè. Appartengo alla categoria dei nostalgici. E non me ne importa poi così tanto. Il mondo va avanti e quel che dovrebbe preoccuparci è il futuro. Quello dei nostri figli e dei figli dei nostri figli. Anche se poi, a ben guardare, l’alternarsi delle generazioni è come un libro (o anche un giornale) che sfogli a volte anche con un po’ di disinteresse.
L’essere quindi arrivato alla parola fine avrebbe dovuto come minimo animarmi di chissà quanti e quali problemi tutti allo stesso modo riconducibili a quanti in questi tanti anni mi sono stati accanto. Mi sarebbe piaciuto stilare un elenco di amici, colleghi, collaboratori ma sarei caduto nel trabocchetto della memoria. Che non sempre funziona a dovere. Avrei in questo modo rischiato di dimenticare qualcuno che avrebbe potuto accusarmi di irriconoscenza. Non cito nessuno anche se tutti sono nei miei pensieri, quelli a cui devo qualcosa, quelli che mi devono molto, quelli che mi hanno “tradito”, quelli che non ho saputo apprezzare e quelli che non mi hanno apprezzato. Se considero che questo è il mio ultimo articolo non nascondo che mi viene il magone. Poi quel furbino ch’è in mente si affaccia alla mente e mi dice se ne sono proprio sicuro. Già, ne sono sicuro? Per quanto riguarda Il Sassarese non credo vi sia molto da ciurlare nel manico. Il giornale con questo numero è chiuso. Quando vi capita di aprire il rubinetto e non ne viene fuori nemmeno un goccio d’acqua non potete riempire il bicchiere. Fuor di metafora, bambole, non c’è una lira, diceva un capocomico alle ragazze di una compagnia di varietà.
Per tutto c’è un inizio e una fine. Questa è l’ultima puntata de Il Sassarese. Quindi la fine. Avrei potuto fare come altri editori (si far per dire…) che dopo un anno/due di pubblicazioni hanno chiuso senza salutare i lettori. Ecco, io non appartengo a questa categoria di improvvisati e, se vogliamo, in fondo in fondo, sono stato il primo e soffrirne quando un qualsivoglia foglio ha cessato le pubblicazioni. Prima di me altri hanno quindi sofferto della chiusura dei loro giornali. Forse solo questi signori possono capire quanto doloroso sia scrivere la parola fine. Non ignoro i lettori ( e sono tanti) che hanno seguito Il Sassarese dal suo primo numero. E ne ho molti riscontri. Va a loro, ma a tutti, il mio ringraziamento. C’è un pensiero che mi perseguita da tempo: se non avessi fatto Il Sassarese che cosa avrei fatto nella mia vita? Mi rispondo da solo ma seguo l’affermazione di un amico scrittore che tutte le volte che mi incontra mi dice: «Enrico, che cosa vorrai fare da grande?». La mia identica riposta da anni è: «Il giornalista».
Mentre scrivo questi modesti pensieri mi viene in mente lo stato attuale del mondo dell’editoria, dell’informazione, della stampa in generale. Si parla di imminente scomparsa della carta stampata, oggi c’è internet e tutte quelle diavolerie che ti fanno vivere la notizia in tempo reale. Nutro qualche dubbio sulla scomparsa dei giornali stampati. Ma forse ha ragione quel giovane mio collaboratore che mi dice che devo aggiornarmi, che devo passare alle nuove tecnologie. Ho una mia idea: più si va avanti con la tecnologia più l’essere umano si allontana dall’essere umano. Infatti, che cosa vuol dire che internet avvicina la gente? Con un sms ti dici ciao, come stai, come va, quando ci vediamo. Tu stai da questa parte del globo e il tuo interlocutore dall’altra. Che vicinanza è mai questa? Cosa diversa è passeggiare in via Roma e scansare le persone e a volte anche andarci sopra o camminando trovare l’amico di una volta, un vecchio amore della giovinezza che finge di non vederti per massimo pudore, scansare un cane o un passeggino. Altro che l’arido sms. E vabbè. Appartengo alla categoria dei nostalgici. E non me ne importa poi così tanto. Il mondo va avanti e quel che dovrebbe preoccuparci è il futuro. Quello dei nostri figli e dei figli dei nostri figli. Anche se poi, a ben guardare, l’alternarsi delle generazioni è come un libro (o anche un giornale) che sfogli a volte anche con un po’ di disinteresse.
L’essere quindi arrivato alla parola fine avrebbe dovuto come minimo animarmi di chissà quanti e quali problemi tutti allo stesso modo riconducibili a quanti in questi tanti anni mi sono stati accanto. Mi sarebbe piaciuto stilare un elenco di amici, colleghi, collaboratori ma sarei caduto nel trabocchetto della memoria. Che non sempre funziona a dovere. Avrei in questo modo rischiato di dimenticare qualcuno che avrebbe potuto accusarmi di irriconoscenza. Non cito nessuno anche se tutti sono nei miei pensieri, quelli a cui devo qualcosa, quelli che mi devono molto, quelli che mi hanno “tradito”, quelli che non ho saputo apprezzare e quelli che non mi hanno apprezzato. Se considero che questo è il mio ultimo articolo non nascondo che mi viene il magone. Poi quel furbino ch’è in mente si affaccia alla mente e mi dice se ne sono proprio sicuro. Già, ne sono sicuro? Per quanto riguarda Il Sassarese non credo vi sia molto da ciurlare nel manico. Il giornale con questo numero è chiuso. Quando vi capita di aprire il rubinetto e non ne viene fuori nemmeno un goccio d’acqua non potete riempire il bicchiere. Fuor di metafora, bambole, non c’è una lira, diceva un capocomico alle ragazze di una compagnia di varietà.
Per tutto c’è un inizio e una fine. Questa è l’ultima puntata de Il Sassarese. Quindi la fine. Avrei potuto fare come altri editori (si far per dire…) che dopo un anno/due di pubblicazioni hanno chiuso senza salutare i lettori. Ecco, io non appartengo a questa categoria di improvvisati e, se vogliamo, in fondo in fondo, sono stato il primo e soffrirne quando un qualsivoglia foglio ha cessato le pubblicazioni. Prima di me altri hanno quindi sofferto della chiusura dei loro giornali. Forse solo questi signori possono capire quanto doloroso sia scrivere la parola fine. Non ignoro i lettori ( e sono tanti) che hanno seguito Il Sassarese dal suo primo numero. E ne ho molti riscontri. Va a loro, ma a tutti, il mio ringraziamento. C’è un pensiero che mi perseguita da tempo: se non avessi fatto Il Sassarese che cosa avrei fatto nella mia vita? Mi rispondo da solo ma seguo l’affermazione di un amico scrittore che tutte le volte che mi incontra mi dice: «Enrico, che cosa vorrai fare da grande?». La mia identica riposta da anni è: «Il giornalista».
Enrico Porqueddu
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