.....si scrive l'ultima riga. Sconvolgimenti a volte
dolorosi, altri di inconsapevole accettazione del passo che si è fatto in
alternanza, al contrario, con pensieri che rimandano ad una vita professionale
che è stata ricca di rinunce ma anche generosa di soddisfazioni.
In questi giorni non sono state poche le persone che, avendo
appreso della chiusura del mio quindicinale Il Sassarese che ho fondato 39 anni
fa, nel 1973, e che il 30 di ottobre scorso ho...mandato in pensione, mi hanno
fermato per la strada esternandomi “tutto il loro dolore”, il dispiacere di non
poter più sfogliare quel giornale.
Non pochi si sono inoltrati in fantasiose teorizzazioni
sulla ripresa delle pubblicazioni. Non nascondo di essermi, a volte, commosso e
altre volte in cui non vedevo l'ora che smettessero di magnificare e la mia
persona e il mio giornale.
Tutti, di sicuro, in buonafede, gente davvero conscia che la
fine di un giornale è una voce in meno di cui si sentirà la mancanza anche se
magari non se ne condividevano i contenuti.
E forse qui, l'apprezzamento mio personale è per coloro che
nel corso degli anni, pur sapendo chi fossi e che cosa facessi, mai si sono
fermati a dirmi un benchè minimo pensiero su Il Sassarese.
La buona fede va premiata e quindi con taluno mi sono
soffermato a parlare del panorama sardo dell'informazione.
Il Sassarese è stata una bella esperienza, soprattutto
quando si pensi che quand'è nato, l'esigenza veniva dal profondo di un credo
professionale assolutamente ed eticamente sentiti. Non un modo per impegnare la
giornata, per impiegare la giornata. ma il modo per dare qualcosa agli altri,
essendo questo il mio credo.
Non fu facile affrontare tutte le difficoltà varie inerenti
l'attività editoriale, vedi redazione, arredi, macchine da scrivere, telefoni,
risme di carta, contatti con la tipografia, iscrizione alla Camera di
Commercio, partita Iva, affitto da pagare come i collaboratori e, insomma,
tutto quel che ancora si può immaginare. Certo, il compito gravoso era quello
di trovare e stendere le notizie, le interviste a questo e a quel personaggio,
la ricerca della pubblicità che a volte era addirittura paradossale.
Ad un commerciante di Sassari, negli anni settanta del
secolo scorso, quando proposi la pubblicità dopo avergli illustrato Il Sassarese,
la sua diffusione nel territorio isolano e le relative vendite di copie, venne
quasi un collasso e mi disse, lasciandomi allibito – ma signor Porqueddu, se il
suo giornale è così tanto venduto, io rischio di vedermi il negozio preso
d'assalto dalla gente! No, meglio non farla, la pubblicità! -
Un altro commerciante, invece, poco convinto, mi disse che
avrebbe fatto il contratto pubblicitario
“perché siamo amici”. Lo mandai a quel paese e rifiutai il
contratto.
Altri e forse più paradossali episodi potrebbero venirmi in
mente ma non posso scordare quello di un altro negoziante che era convinto che
la pubblicità del suo esercizio l'avrei dovuta pagare io in quanto lui mi
“gratificava” col nome della sua azienda, presente nelle pagine de Il Sassarese!
Le tentai tutte, non vi riuscii, era convinto delle sue
castronerie e da allora quel commerciante mi tolse anche il saluto.
Ed ora che sto scrivendo le ultime righe, i pensieri
arrivano a frotte e si mischiano nella mia mente.
Eccone ancora due, legati, questi, ad alcune interviste.
Un notissimo presidente di una organizzazione commerciale,
diversi anni fa, mi concesse un'intervista, andai nel suo ufficio e raccolsi le
sue risposte, tornando, poi, in redazione.
Il giorno dopo, quel presidente mi chiese al telefono di
leggere la sua intervista prima della pubblicazione. Gli spiegai che l'etica
professionale mi impediva di fare
quanto lui mi chiedeva e , nonostante le sue insistenze, rimasi sulla mia
convinzione. Allora quello mi impose di non pubblicare l'intervista, cosa che,
alla fine, feci. Non la pubblicai mai
ma questo non inficiò per
niente il nostro rapporto, da sempre ed ancora ottimo.
Un episodio del genere si verificò qualche anno dopo.
Chiesi ad un notissimo intellettuale sassarese, giornalista
anche lui, una intervista.
Venne in redazione, mi concesse l'intervista e, quando
giunse il momento dei saluti, mi chiese di fargliela leggere prima che andasse in stampa. Ricordo un braccio di
ferro che s'allungò per diversi minuti. Sciorinai tutta la mia esperienza da
vecchio giornalista, tutta la mia dialettica per convincerlo che, in qualche
modo, stava mettendo in dubbio la mia professionalità. Non riuscii a
convincerlo, insistette, e tanto, perché lo accontentassi cosa che accettai ma
solo nel rispetto della sua età e per l'amicizia seppur didascalica che ci
legava da anni. Non solo ma mi chiese, una volta finito l'elaborato, di
farglielo avere a casa sua che non distava troppo, e meno male! dalla mia
redazione.
Glielo portai, mi accolse nelle scale di casa, prese i fogli
e mi disse che mi avrebbe richiamato per restituirmeli. Lo fece il giorno dopo.
In redazione, in possesso di quei fogli, e anche un po'
incuriosito, mi accorsi che non aveva apportato alcuna correzione se non su
qualche errore di battuta ma questa storia non mi piacque molto, a dir la
verità.
E c'è da dire che anche queste storielle assurde, qualche
volta, bisogna metterle in conto.
Se non avessi il timore di tediare il lettore continuerei su
questa scia raccontando chi sa quanti altri aspetti della vita di un
giornalista-direttore-redattore-editore-correttore di bozze e altro ancora.
Ma è meglio fermarsi qui e magari pensare che, forse,
trentanove anni alla guida de Il
Sassarese non sono poi così tanti.
Che faccio? Rifaccio Il Sassarese?
Meglio starsene in panciolle pensando ai tempi andati,
tanto, Il Sassarese è sempre qui.
Nel mio cuore.
Un giorno di novembre del 2012
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